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“Schlein ha ricostruito la credibilità perduta”, intervista ad Arturo Scotto

“Schlein ha ricostruito la credibilità perduta”, intervista ad Arturo Scotto

Arturo Scotto, parlamentare e membro della Direzione nazionale del Partito democratico. Cosa c’è alla base del successo elettorale del Pd alle elezioni europee?
Ha pesato innanzitutto il coraggio. Ed Elly Schlein lo ha dimostrato durante tutto questo lungo anno. Quando sembrava che fossimo spacciati e fuori dai giochi. Quando la destra occupava tutto, dalla Tv fino all’ultimo Cda, infiltrando nei ministeri personaggi usciti dall’album di famiglia del peggior neofascismo. Schlein non si è seduta sulla vittoria alle primarie ha consumato le suole delle scarpe camminando prima nel partito – attraversandolo, unendolo e cambiandolo – e soprattutto nel paese, ricostruendo una credibilità perduta e persino un vincolo di popolo. Dopo anni l’Italia ha una forza politica della sinistra democratica che può costruire un campo dell’alternativa di governo con contenuti netti, un profilo socialmente decifrabile e un rinnovamento del linguaggio. La scommessa è stata vinta, quando Elly ha preso in mano la guida del Pd eravamo la seconda forza dell’opposizione, oggi guidiamo la riscossa dell’Italia progressista contro la destra peggiore di sempre. La strada è ancora lunga, ma abbiamo gettato un seme.

Un aggettivo per il risultato del Pd.
Il 24 per cento è un risultato incredibile. Cinque anni fa quando il Pd prese il 22,7 %aveva al proprio interno ancora Renzi, mentre Calenda e Articolo Uno erano presenti in lista con i propri candidati. La lista unitaria del Pd era l’unica offerta credibile dell’opposizione progressista al governo gialloverde di Lega e Cinque stelle. Ballava da sola nei fatti e fece un grande risultato che aprì la strada alla caduta del Conte 1 e la nascita dell’asse giallorosso. Questa volta il Pd aveva una concorrenza più forte con un’offerta politica all’opposizione variegata e credibile. M5S, Avs e persino le due forze centriste, Azione e Stati Uniti d’Europa. Eppure, è andato avanti in termini percentuali e assoluti. Significa che si è mosso un pezzo di elettorato che è tornato a guardare a una sinistra che fa finalmente il suo mestiere.

Quale la chiave politica che spiega questo risultato?
Tornare a battere sulla questione sociale. Fregandosene dei soloni che ci ammonivano sui rischi di massimalismo. Talvolta quando vedo alcuni commentatori penso che vivano sulla luna e non vedono quanto le diseguaglianze abbiano scavato in maniera inesorabile tra territori, generi, generazioni. La crisi del ceto medio e la frammentazione del lavoro ha prodotto un divorzio di interi strati di società dalle democrazie liberali come strumento di emancipazione sociale e di crescita equilibrata. In questo turning point – dove l’astensione è qualcosa di più di un partito di massa – chi è più debole e indifesa si è trovato al proprio fianco il Pd di Elly Schlein. Chi ha parlato di salari in questa campagna elettorale? Il Pd. Chi ha parlato di difesa della sanità pubblica? Il Pd. Chi ha parlato di diritto alla casa per le giovani generazioni precarie e sottopagate? Il Pd. Chi ha combattuto con più forza contro l’autonomia differenziata e il premierato? Il Pd. Questa fase della vita del paese torna a dirci che il clivage destra – sinistra esiste ancora. E che c’è bisogno di ricette alternative perché la corsa non si vince al centro. Che scompare dalle mappe geografiche. Lo dimostra il dato di Renzi e Calenda. Non esiste il terzo polo, a maggior ragione se è attraversato da impulsi suicidi come la divisione inspiegabile che li ha animati. O stai a destra o stai a sinistra: questo ti dice l’Italia e questo ti dice l’Europa. Tant’è che il macronismo entra irreversibilmente in crisi e, con la scelta di sciogliere anticipatamente l’Assemblée nationale, spalanca la strada all’estrema destra al Governo della Francia. Il presentimento un po’ inquietante è quello di un ritorno al passato: non sarebbe la prima volta che l’allergia dei liberali nei confronti dei contenuti della sinistra spalanca la porta ai fascisti.

I 5Stelle hanno subito una pesante sconfitta.
Il M5S ha una battuta di arresto pesante. Anche nel sud. Dove non sono più primo partito e dove invece il Pd supera sia loro che fratelli d’Italia. Mi auguro che aprano una riflessione positiva sulla necessità di investire sull’alleanza. Negli ultimi tempi la tendenza a sottolineare le cose che ci dividono piuttosto che quelle che ci uniscono non li ha premiati. A differenza di Avs che ha fatto un bellissimo risultato anche perché è riuscita a contemperare un profilo autonomo e allo stesso tempo unitario con la coalizione. I loro elettori sanno chi è Giorgia Meloni e sanno che l’autonomia differenziata sarà la mazzata finale ai diritti universali che la Costituzione tutela per ciascun cittadino di questo paese. Dunque, chiedevano unità e generosità. Ed Elly è stata più unitaria e più generosa. Dopodiché nel loro dato basso c’è un punto più di fondo, oserei dire più strutturale che interroga tutti noi, anche il Pd. Come è possibile che la Meloni con una ferocia senza precedenti tagli cinque miliardi per i più poveri eliminando il reddito di cittadinanza e non succede niente. Non c’è una protesta, non c’è una mobilitazione. Né nelle piazze né nel voto. Quella scelta ha spinto migliaia di persone nella solitudine e nella fame. Eppure, sembra tutto fermo. Dobbiamo capire cosa sta accadendo, non possiamo fermarci alla superficie. Forse il vero punto su cui la sfida del reddito di cittadinanza è fallita sta nel fatto che non si è trasformato da sussidio in diritto incomprimibile e non negoziabile del singolo individuo. Le persone si muovono quando ti tolgono un diritto, non quando ti eliminano un sussidio. Lancio un’idea: sarebbe un punto di partenza per riprendere la trama unitaria della coalizione un grande seminario sulla questione sociale. Dobbiamo capire come riconquistare il popolo dell’astensione. Ovvero la parte più diseredata del paese che oggi ci dice che non crede più alla potenza trasformatrice della politica.

La premier canta vittoria.
La Meloni non l’abbiamo sconfitta, ma l’avanzata si è fermata. Alle europee il Pd guadagna 250000 voti in più rispetto alle politiche, la Meloni ne perde quasi mezzo milione. Questo è il fatto politico. Il resto è propaganda. Dopodiché la strada è lunga e accidentata, l’Italia rischia la torsione autoritaria definitiva con il premierato. Io sono per dirla così: non facciamo miracoli, ma facciamo politica. E la politica quando è accompagnata da coerenza, idealità e intelligenza vince sempre nel lungo periodo.

Ombre inquietanti sul futuro dell’Europa.
L’Europa va a destra perché quando c’è la guerra vincono le paure, mai le speranze. E anche quelli che giocano al dottor Stranamore aprono praterie ai nemici della democrazia. È questo oggi il mio assillo più grande. Allo stesso tempo, va detto che la famiglia socialista – pur in difficoltà – sposta il proprio asse politico nel mediterraneo. Spagna, Portogallo, Italia e persino un po’ una significativa resilienza della Francia. È un messaggio da parte di paesi che più di tutti hanno visto crescere una critica alle politiche di austerità dei paesi frugali. Ripartiamo da qui.