Dopo il disastro elettorale
Anche Travaglio scarica Conte: Di Battista, Fico e Appendino pronti alla successione
M5s a processo. Settori del gruppo dirigente contesta all’ex premier la scelta di candidature anonime e quella di non aver voluto mettere la faccia sul voto.
Politica - di David Romoli
Ieri, alla vigilia di una riunione con i gruppi parlamentari che era già in agenda ma che infauste circostanze hanno caricato di tutt’altro peso e significato, la parola d’ordine tra i parlamentari a Cinque stelle era una sola: “Conte non si tocca”. Di dimissioni nessuno parla, tutti le escludono tassativamente. Ma il solo fatto che la parola dannata circoli, venga ripetuta ovunque anche solo per escluderla, è più che rilevante. Per la prima volta la leadership dell’ex premier balla. Non subito, perché un ricambio anche solo all’orizzonte non c’è e una struttura fragile come il Movimento non reggerebbe al doppio colpo di una mazzata nelle urne molto più pesante del previsto sommata al ritrovarsi di nuovo senza leader e allo sbando.
Ma in prospettiva il problema si pone. Se piazza la parola maledetta nel titolone di prima persino la testata più amica di Conte che ci sia mai stata, Il Fatto, e se un ex ministro non ostile all’avvocato come Toninelli lo bolla come “brava persona ma un tecnico che non emoziona”, gli scricchiolii sono già oltre il livello di guardia. Nella call con tutti i pezzi da novanta del Movimento di martedì sera, a sconfitta ancora caldissima e bruciante, le dimissioni non le ha chieste nessuno ma le critiche per una campagna elettorale disastrosa fioccavano. I leader hanno rinfacciato al capo il non aver messo in campo nomi acchiappavoti e hanno anche criticato la scelta di differenziarsi da tutti gli altri non candidandosi di persona. Dicono che, senza aspettare esortazioni esplicite o velate, l’ “avvocato del popolo” fosse pronto a ritirarsi da solo, anzi che fosse a un millimetro dalla decisione, rimangiata solo su pressione degli ufficiali nel panico di fronte all’eventualità di trovarsi orfani.
La realtà è che tutti temono l’eventualità di un arrembaggio dall’esterno, anche se si tratta di un esterno per modo di dire: Di Battista in tandem con l’ex sindaca di Roma Virginia Raggi, sbalzata ai margini proprio per i pessimi rapporti con il leader e su posizioni molto simili a quelle del barricadero Di Battista. Ma un’offensiva partita da quel fronte significherebbe dover rinunciare a quella normalizzazione del Movimento nella quale i dirigenti si trovano benissimo. Non hanno alcuna intenzione di tornare alla guerra contro tutti, senza alcun interesse nell’affermarsi come forza di governo, che è invece l’obiettivo dei durissimi come Dibba e l’ex sindaca di Roma. Dunque Conte verrà letteralmente legato alla sedia che occupa ma allo stesso tempo i medesimi dirigenti che oggi escludono ogni possibilità di addio inizieranno a guardarsi intorno.
I nomi in ballo sono però pochi e tutti legati al leader a filo triplo: Chiara Appendino, sulla quale pesa il processo che l’attende per il tragico concerto di Torino che costò la vita a tre persone nel giugno 2017 e potrebbe essere davvero in campo solo dopo l’eventuale assoluzione, oppure Roberto Fico, figura ideale per portare a compimento la totale identificazione del Movimento già “né di destra né di sinistra” con il Campo Largo. Ma Fico, come del resto la stessa Appendino, non sono disposti a fare passi avanti senza il preventivo accordo dello stesso Conte e, nonostante la minaccia di due giorni fa, non è affatto certo che l’avvocato prenda seriamente in considerazione l’addio. Ci sarebbero in realtà altri nomi possibili: Patuanelli, Castellone, Sabrina Pignedoli, europarlamentare la cui rielezione è saltata ieri all’ultimo momento per una questione di resti, la presidente della Sardegna Todde, che gode di stima universale. Ma per una selezione di questo tipo sarebbe necessario un vero congresso, con al centro questioni politiche.
Ancora una volta, invece, il Movimento reagisce al colpo da ko avvitandosi in un dibattito sulle regole. In particolare quella maledetta del doppio mandato, che ha falcidiato ogni candidatura di richiamo. Nessuno la vuole ma Grillo la considera irrinunciabile e Conte non ha mai avuto il fegato di sfidarlo. Proprio Grillo, il fondatore fantasma, è una delle principali incognite in campo. Tutti si aspettano che si faccia sentire ma da mesi ormai il comico è chiuso nel mutismo. Se deciderà di parlare il suo potrebbe essere un intervento terremotante. L’altra incognita è Marco Travaglio, che formalmente non è un 5S ma pesa più di tutto il gruppo dirigente messo insieme. Ieri il suo giornale, house organ del Movimento e oltre, metteva Conte di fronte a un’alternativa secca: cambiare le cose per rilanciare il Movimento o lasciare il posto. Magari a quel punto potrebbe decidere di fare il leader di nome oltre che di fatto lo stesso direttore del quotidiano. Sarebbe una bella sfida, per lui…