Le elezioni in Francia
Cosa sta succedendo in Francia: il finto riformismo e i suoi frutti avvelenati
Dal 2017 il sistema politico francese è stato sconvolto dall’ubriacatura macroniana. La crisi dei gollisti e dei socialisti ha offerto uno spazio al tentativo più ambizioso di superare destra e sinistra con una speculazione
Editoriali - di Pietro Folena
Quello che è successo in Francia nelle elezioni europee è davvero un evento che può cambiare il corso della storia. Se l’Italia, fra i paesi fondatori dell’Unione Europea, aveva anticipato la tendenza a una svolta a destra del continente già con le elezioni politiche del 2022 (tendenza che ora si è manifestata un po’ ovunque), in Francia – dove ha votato poco più di metà dell’elettorato – la destra estrema nazionalpopulista è in condizione di vincere le prossime elezioni politiche, convocate in modo avventuristico dal Presidente Emmanuel Macron, minando così alla radice il progetto europeo.
Da decenni, a partire dal 1988, prima il Front National, guidato da Jean Marie Le Pen, e poi quello diretto da Marine Le Pen, divenuto poi Rassemblement National, quest’area politica – in origine apertamente fascista e antisemita – raccoglie almeno il 15 % dei consensi. E negli ultimi quindici anni questo consenso ha superato il 20%. In più occasioni, grazie alla disciplina repubblicana – e cioè alla disponibilità, soprattutto dell’elettorato di sinistra, di turarsi il naso e di votare per la destra democratica o per i moderati -, il rischio di una vittoria dell’estrema destra nazionalpopulista è stato sventato. Io stesso, da cittadino francese, ho votato (senza enormi difficoltà, vista la statura politica) Jacques Chirac per fermare Jean Marie Le Pen; e poi (con difficoltà, lo confesso, vista la modesta statura politica) Macron per fermare Marine Le Pen.
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Tutto il sistema politico francese, dal 2017, è stato sconvolto dall’ubriacatura macroniana. La crisi dei grandi partiti storici francesi – i gollisti da un lato e i socialisti dall’altro – ha offerto uno spazio al tentativo più ambizioso di superare destra e sinistra in nome di un non meglio aggettivato “riformismo”. Lo stesso processo era avvenuto in Italia con Matteo Renzi che, conquistando un Partito Democratico senz’anima, aveva per una breve stagione creato una grande illusione. Ma una breve stagione, in ragione del fatto che l’Italia tutto malgrado è una Repubblica parlamentare. I risultati della breve stagione renziana, oltre a una lunga crisi del Pd che solo ora sembra in via di superamento, sono stati quelli di consegnare l’Italia ai nazionalpopulisti nostrani, e al confuso populismo pentastellato. Macron invece, in forza del carattere semipresidenziale del sistema francese, ha illuso il paese attorno a un cambiamento.
E’ stato l’espressione dei grandi interessi finanziari e bancari, e ne ha coltivato il programma. Dopo la seconda elezione ha scatenato il malcontento e la rivolta sociale, alimentando da un lato la destra e dall’altro una nuova opposizione di sinistra. Non si può scordare che nel 2022, con la sigla Nupes, la sinistra unita – pur priva di un programma coeso – ha ottenuto un grandissimo successo (131 seggi su 577). Negli ultimi mesi Macron è stato il più irresponsabile tra i governanti europei nella volontà di trascinare il continente in un conflitto aperto con la Russia. Istruttori francesi sono già in Ucraina, e i rischi di una guerra totale sono incombenti. Alle europee i francesi hanno votato anche contro questo scenario inquietante. Il disastro ultrariformista di Macron ora è compiuto.
E’ ora, in Francia e in tutto l’Occidente, di chiudere la stagione di questo riformismo. Il lungo cammino del lepensimo francese ha dato voce, allargandone la base e l’ideologia, a un nazionalismo arrabbiato, xenofobo, latente, che ha in sé lo spirito della Vandea, del rifiuto dei grandi valori universali della Rivoluzione Francese, della continuità mai rinnegata con la Francia di Vichy e del collaborazionismo del maresciallo Philippe Pétain. Esprime uno stato d’animo della provincia contro la città, un sentimento di rancore e di paura, un tempo dominato dai corpi intermedi, dalle lotte operaie e contadine, dai grandi partiti popolari. La giovane candidatura di Jordan Bardella – che ha un’evidente anima italiana nel suo modo ai agire e di comunicare – ha dato capacità di attrazione a questo progetto. Ma la vittoria Bardella e la Le Pen non l’hanno ancora in tasca. A destra in queste ore si sta scomponendo e frammentando il quadro politico, e la crisi del partito gollista, che ha espulso il suo presidente Eric Ciotti, filo-Bardella, ne è la più palese prova. Macron proverà ad aggregare queste componenti, in una stagione in cui la sua impopolarità è massima.
Il nuovo Fronte Popolare – così com’è stato chiamata la nuova alleanza di tutte le forze della sinistra – ha paradossalmente una imprevista opportunità. Potrebbe diventare il terminale di chi si oppone a un salto nel buio, molto più carico di incognite di quello fatto dal centrodestra italiano, quando sono stati rilegittimati gli eredi di Salò. Potrebbe. Ma a tre condizioni: di allargare la sua capacità di attrazione a tutti i democratici, a partire da Raphael Glucksmann, e di non farsi dominare da posizioni estremiste; di portare al voto tutta la Francia multietnica, che può essere preoccupata della conquista del governo da parte dei nazionalpopulisti; e di darsi dei volti, dei programmi giovani e rivolti al futuro, fuori dai lunghi anni di diatribe e di contrapposizioni a sinistra e capaci di disegnare un nuovo modo di convivere. Si tratta di una speranza di chi scrive o di una possibilità concreta? Il doppio turno francese offre, ce lo ha dimostrato in passato, la possibilità di rovesciare le previsioni più consolidate. Dalla partita politica del 30 giugno e del 6 luglio si deciderà non poco del futuro della Francia e di quello dell’Europa.