Le elezioni in Francia

Francia a rischio caos: perché la coabitazione tra Macron e Le Pen è impossibile

La sinistra si presenta unita e non ha paura di riesumare il fronte popolare del ‘36. Basterà a vincere? Altrimenti la Francia rischia il caos

Editoriali - di Salvatore Curreri - 18 Giugno 2024

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Francia a rischio caos: perché la coabitazione tra Macron e Le Pen è impossibile

L’improvvisa e inattesa decisione del Presidente Macron di sciogliere l’Assemblea nazionale la sera stessa delle elezioni europee, peraltro a scrutinio non ultimato, e convocare le elezioni politiche per i prossimi 30 giugno e 7 luglio si presta a più d’una considerazione, anche in riferimento alle nostre latitudini. Per un verso, infatti, tale scelta è obbligata. Di fronte al terremoto elettorale causato dal successo dei partiti di destra (quasi il 40% dei voti, grazie al successo del Rassemblement national di Marin Le Pen e Bardella primo partito con il 31,37%), il Presidente non poteva dimettersi (e non lo farà, state sicuri, fino al 2027 per impedire alla destra di conquistare l’Eliseo); né poteva, come di solito accaduto in questi casi, scaricare la responsabilità sul Primo ministro, comodo parafulmine, visto che appena cinque mesi fa ha sostituito Élisabeth Borne con l’attuale premier Gabriel Attal. L’unica soluzione era dunque sciogliere l’Assemblea per verificarne la composizione rispetto al nuovo quadro politico emerso il 9 giugno.

Va infatti ricordato che alle europee i francesi hanno votato con una formula elettorale – il proporzionale – assolutamente diversa dal maggioritario a doppio turno con cui eleggono l’Assemblea nazionale, unica camera politica. Con il proporzionale si fotografa la consistenza elettorale delle forze politiche, anche quelle più minoritarie, e l’elettore vota per essere rappresentato dal partito che sente più vicino alle proprie idee. Il maggioritario, invece, premia i partiti più forti, attribuendo loro in percentuale più seggi rispetto ai voti, per cui l’elettore vota per il partito che sente meno distante dalle sue idee perché conquisti la maggioranza dei seggi. Ciò è tanto più vero nel maggioritario a doppio turno, dove l’elettore vota prima “con il cuore”, secondo la propria appartenenza politica, e poi “con la testa” per il governo del paese. Se a tutto questo aggiungiamo che i francesi, come gli italiani, considerano le europee elezioni di second’ordine, i cui temi elettorali non reputano essenziali, e dunque si sentono più liberi d’esprimere il loro malcontento, possiamo concludere che elezioni europee e elezioni politiche sono diverse sia per tematiche che per regole elettorali.

Con questo non si vuole certo sottovalutare l’innegabile successo elettorale del RN, peraltro frutto di un trend decennale, quanto piuttosto evidenziare quanto non sia affatto scontato che il risultato ottenuto alle europee con il proporzionale possa essere facilmente replicato alle politiche con il maggioritario a doppio turno, che può portare sia ad un’amplificazione che ad un ridimensionamento delle destre; ipotesi quest’ultima su cui il Presidente sembra puntare confidando nella creazione di quella diga repubblicana che finora ha sempre impedito alla Le Pen di vincere le elezioni presidenziali e al suo partito di avere la maggioranza assoluta dei seggi. In tal senso vanno lette le proteste in piazza contro il RN di centinaia di migliaia di francesi, le nette prese di posizione di stelle del calcio francese come Thuram e Mbappé (i nostri avrebbero lo stesso coraggio?) e il riassestamento lungo tale faglia del sistema partito francese, catalizzato dagli stretti tempi elettorali imposti dalla Costituzione (le elezioni devono avere luogo tra minimo 20 e massimo 40 giorni dallo scioglimento per cui le candidature dovevano essere presentate entro le 18 dell’altro ieri), con la creazione di inedite alleanze elettorali sia per suddividersi i candidati nei 577 collegi uninominali (la proporzionalizzazione del maggioritario non è fenomeno solo italiano), sia in vista del secondo turno cui – è bene ricordare – sono ammessi non i primi due candidati ma tutti coloro che hanno ottenuto almeno il 12,5% non dei votanti ma degli aventi diritto al voto (quindi una percentuale di fatto più alta).

Da qui le polemiche, con tanto di strascichi giudiziari, seguite alla decisione del Presidente dei Républicans Ciotti di appoggiare al secondo turno i candidati del RN, rompendo la tradizionale diga gollista contro l’estrema destra. Decisione, com’è noto, contestata da tutti gli altri dirigenti del partito, a dimostrazione che, al contrario di quanto talora avvenuto in Italia, il radicale cambio di linea politica deve essere deciso non dal solo leader ma dagli organi collegiali previsti dallo statuto interno, in nome del rispetto della democrazia all’interno dei partiti. Sull’altro versante, in vista dell’appuntamento elettorale, la sinistra (comunisti, socialisti, ecologisti e gli insoumis di Mélenchon) dopo laboriose trattative ha creato un Noveau Front Populaire, riesumando il cordone sanitario contro le destre del 1936, con i socialisti di Glucksmann, costretti, in nome di tale alleanza, ad accantonare le divisioni su questioni cruciali di politica estera quali gli aiuti all’Ucraina e il giudizio su Hamas nonché ad accettare misure (come ad esempio l’indicizzazione dei salari e la contro riforma del sistema previdenziale) contrarie a quel riformismo che lo ha invece premiato alle europee (14,8%), risollevando le sorti di un partito quasi scomparso nelle ultime elezioni politiche del 2022. L’esito del secondo turno quindi dipenderà molto dalla tenuta di tali alleanze elettorali. A dimostrazione di come, come accaduto in Italia nel 2022, il maggioritario premia i partiti capaci di allearsi senza perdere consensi.

Sta di fatto che se dovesse vincere il RN, si riproporrebbe la coabitazione tra Presidente e Primo ministro di segno politico opposto. Coabitazione che il legislatore costituzionale, memore delle esperienze precedenti (le brevi coabitazioni Mitterrand–Chirac 1986-1988 e Mitterrand-Balladur 1993-1995 e soprattutto quella lunga tra Chirac–Jospin 1997-2002, dovuta guarda caso all’azzardato scioglimento anticipato di Chirac, convinto anche lui che avrebbe vinto le elezioni politiche), aveva inteso evitare riducendo il mandato presidenziale da 7 a 5 anni così da allinearlo alla durata della legislatura, e stabilendo la contestualità tra le elezioni (prima) presidenziali e (poi) parlamentari confidando nell’effetto trascinamento delle prime sulle seconde (c.d. luna di miele). Una coabitazione, stavolta, che si prospetta molto più dura e complicata rispetto al passato a causa del radicale contrasto di linea politica tra Presidente e Primo ministro, in particolare in materia di politica estera e di difesa. Tanto per essere chiari: quale sarà la posizione della Francia nell’U.E.? Quella espressa da Macron in seno al Consiglio europeo (cui finora ha sempre partecipato il Presidente) oppure quella espressa dal governo Bardella in seno al Consiglio dei ministri dell’Unione europea?

Al riguardo, un’ultima considerazione, riguardo alla riforma del premierato. Si è sempre detto che le elezioni a doppio turno si vincono al centro perché risulta alla fine decisivo l’elettorato moderato di entrambi gli schieramenti. È il famoso paradosso dei due gelatai che, divisa la spiaggia in due zone, si collocano al loro centro per essere equamente raggiungibili dai bagnanti di ciascuna di esse ed anzi cercano possibilmente di spostarsi verso il centro della spiaggia per sottrarre al concorrente una parte dei clienti, magari anche a costo di correre il rischio di perdere i bagnanti agli estremi che, dovendo fare più strada per raggiungerlo, potrebbero rinunciare al gelato. Oggi invece la spiaggia è sempre più deserta (astensionismo) e i bagnanti (gli elettori), complici anche i social network, tendono a collocarsi sempre più alle estreme sicché i gelatai (partiti) anziché spostarsi al centro si estremizzano. Non è affatto un caso che entrambi i blocchi di centro destra e centro sinistra sono controllati dai partiti estremi: la France Insoumise di Melenchon e il RN di Marine Le Pen.

Ecco: noi ci affanniamo a criticare nel merito il premierato proposto dal centro destra, per le sue numerose e gravi deficienze tecniche (incertezza sul metodo di elezione del Presidente, conseguenze negative sul Parlamento e sul Presidente della Repubblica, mancanza di contrappesi) ma forse ci sfugge l’essenziale, e cioè che l’elezione diretta del vertice dell’esecutivo, in grado di trasformare una minoranza in maggioranza, presuppone tra le forze politiche un idem sentire su alcune scelte politiche fondamentali in materia di politica internazionale, europea, migratoria, di bilancio e sociale. Queste condizioni, un tempo presenti, si stanno lentamente sfaldando, come dimostrano i risultati elettorali in Francia, Germania e, temiamo, Stati Uniti. L’elezione diretta del Primo ministro in un Paese con “molti partiti molto divisi”, ideologicamente iperpolarizzato rischia di essere un fattore di ulteriore disgregazione e moltiplicatore di fratture. E questo oggi è un rischio che non possiamo correre se non vogliamo un giorno dover amaramente ammettere di aver paradossalmente offerto alle forze estremiste gli strumenti con cui distruggere le fondamenta dell’Unione europea.

 

18 Giugno 2024

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