Fumata nera a Bruxelles
Nomine Ue, al Consiglio europeo è stallo: nessun accordo sui nomi, Meloni messa all’angolo da Popolari e alleati
Politica - di Carmine Di Niro
Fumata nera dal vertice informale del Consiglio europeo tenuto lunedì sera a Bruxelles tra i 27 capi di Stato e di governo dei paesi membri dell’Unione Europea: i leader europei infatti non sono riusciti a trovare un accordo sulle principali nomine attese nelle prossime settimane per dare una governance all’Ue, prima tra tutte quella di presidente della Commissione dove la tedesca Ursula von der Leyen corre per un secondo mandato.
Dalla cena di Bruxelles, in Belgio, è invece emersa una situazione di stallo, come spiegato ai giornalisti presenti sul posto dal presidente del Consiglio Europeo Charles Michel, che ha evidenziato candidamente come “non c’è alcun accordo stasera”. La partita resta comunque aperta e i vari leader continueranno a discuterne nei prossimi giorni in attesa del primo incontro formale del Consiglio Europeo del 27 e 28 prossimi, quando le nomine andranno votate.
Lo stallo sulle nomine europee
A provocare lo stallo, secondo plurime ricostruzioni su quanto accaduto lunedì sera, le richieste considerate al momento eccessive dei Popolari europei, i partiti di centrodestra chiari vincitori del voto europeo e primo gruppo parlamentare.
Oltre a chiedere la riconferma di Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione e della maltese Roberta Metsola a quella del Parlamento europeo, i Popolari avrebbero chiesto ai Socialisti (il gruppo S&D è il secondo per numero di europarlamentari eletti) di dividere la presidenza del Consiglio Europeo, che stando ai rumours della vigilia dovrebbe andare all’ex primo portoghese António Costa.
La proposta dei Popolari è stata quella di tenere per sé uno dei due mandati da presidente del Consiglio Europeo, che dura due anni e mezzo. Di fronte a queste richieste i Socialisti hanno fatto muro, bloccando almeno per il momento le discussioni.
Lo stop alle trattative riguarda anche la terza carica più importante in discussione, quella di Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, ossia il capo diplomatico dell’Unione: per il ruolo in pole c’è la ministra dell’Estonia Kaja Kallas, esponente dell’area liberale.
Il ruolo di Giorgia Meloni
La serata di lunedì ha fatto poi emergere le chiare difficoltà in sede europea di Giorgia Meloni. La premier italiana, forte del risultato di Fratelli d’Italia alle Europee, dei numeri in Parlamento europeo del gruppo dei conservatori dell’Ecr (guidato proprio dalla presidente del Consiglio) e dei rapporti personali con la presidente della Commissione Ursula von der Leyen, avrebbe voluto essere maggiormente coinvolta nella partita delle nomine.
La premier potrebbe far votare von der Leyen in Parlamento, un sostegno che porterebbe in cambio la nomina di un commissario di peso per Roma, il nome più chiacchierato è quello del capo dei servizi segreti Elisabetta Belloni ad occuparsi del dossier immigrazione.
Invece a Bruxelles Meloni non ha toccato palla. Che le cose si potessero mettere male per Meloni era emerso dall’uscita di Donald Tusk, premier polacco e “negoziatore” per i Popolari, che alla stampa aveva chiarito come esistesse già una maggioranza sufficiente ad eleggere von der Leyen, “anche senza i voti di Meloni”.
Un ‘no’ secco che deriva anche da logiche interne polacche. Nell’Ecr 20 dei 77 deputati sono espressione del Pis, il partito Diritto e Giustizia dell’ex premier polacco di estrema destra Mateusz Morawiecki, acerrimo rivale proprio di Tusk.
Meloni che si trova così stretta dalla volontà di “contare” in Europa e dalla necessità di non perdere pezzi nell’Ecr, con Morawiecki che avrebbe aperto alla possibilità di trasferirsi nel gruppo Identità e Democrazia, dove siedono in Parlamento Ue la Lega di Matteo Salvini ma soprattutto il Rassenblement National di Marine Le Pen.