Il Jerusalem Post è un giornale di destra. Il più antico giornale di destra israeliano. Il Jerusalem Post è un grande giornale. Che non nasconde la sua ispirazione politico-culturale ma non lo fa a scapito delle notizie, anche quando queste notizie rivelano cose terribili che investono governi politicamente “vicini”. E la notizia rilanciata dal Jerusalem post è di quelle destinate a scuotere dalle fondamenta lo Stato ebraico e a mettere in crisi sia i vertici militari sia quelli politici: “Un documento emerso di recente – scrive il Jerusalem Post – ha rivelato che le Forze di Difesa Israeliane (Idf) e i sistemi di intelligence conoscevano dettagliatamente il piano di Hamas di fare irruzione in Israele e rapire 250 persone settimane prima del massacro del 7 ottobre”.
Il documento, compilato nella divisione di Gaza, descriveva le intenzioni di Hamas ed era noto agli alti funzionari dell’intelligence, secondo quanto riportato da Kan News. Il documento, intitolato “Addestramento dettagliato ai raid end-to-end”, è stato distribuito il 19 settembre 2023 e descriveva in dettaglio la serie di esercitazioni condotte dalle unità d’élite di Hamas. Queste esercitazioni comprendevano l’irruzione in postazioni militari e kibbutzim (comunità collettive in Israele), il rapimento di soldati e civili e il mantenimento degli ostaggi una volta giunti nella Striscia di Gaza. Il rapporto di Kan News afferma: “Fonti della sicurezza hanno detto a Kan News che il documento era noto alla leadership dell’intelligence, almeno nella divisione di Gaza”. Le rivelazioni del documento sono giunte sulla scia delle critiche diffuse per l’incapacità di anticipare e prevenire l’attacco del 7 ottobre, che ha provocato numerose vittime e ostaggi”. E qui la conclusione devastante: “I segnali d’allarme non sono stati presi in considerazione. L’Idf disponeva di informazioni precise sulle intenzioni di Hamas, ma a causa delle concezioni prevalenti all’interno dell’establishment della sicurezza e di una possibile negligenza da parte di alti funzionari, i segnali d’allarme non sono stati presi in considerazione”.
Il rapporto specificava inoltre che i funzionari dell’intelligence israeliana avevano monitorato l’esercitazione e documentato i passi che Hamas aveva pianificato di compiere dopo aver violato il territorio israeliano e aver conquistato le postazioni militari. Il numero previsto di ostaggi, secondo il documento, era compreso tra 200 e 250 persone. “I funzionari dell’intelligence israeliana che hanno monitorato l’esercitazione hanno dettagliato nel documento le fasi successive all’irruzione in Israele e alla conquista delle postazioni, stabilendo che l’istruzione è quella di consegnare i soldati catturati ai comandanti delle compagnie. Il numero previsto di ostaggi, si legge nel documento, è tra le 200 e le 250 persone”, ha riferito Kan News. Queste informazioni, unite a una nuova e sofisticata barriera di sicurezza completata due anni prima dell’attacco, si riteneva che rendessero improbabile un simile assalto. Tuttavia, la barriera ha ceduto durante l’attacco di Hamas, evidenziando una significativa svista di intelligence e sicurezza. “Il team di investigazione dello Stato Maggiore dovrebbe presentare i primi risultati di questo fallimento al Capo di Stato Maggiore nelle prossime settimane, mentre il Paese cerca di capire come sia stato possibile un tale errore di sicurezza nonostante la conoscenza anticipata dei piani del nemico”. Così il Jerusalem Post.
Intanto, è scontro duro anche all’interno della coalizione di governo. Il Likud, il partito di Netanyahu, ha accusato il ministro della Sicurezza nazionale, Itamar Ben Gvir, di aver divulgato «segreti di Stato» dopo la pubblicazione da parte di alcuni media in lingua ebraica della notizia secondo cui il premier avrebbe offerto all’esponente dell’estrema destra di far parte di un gruppo ristretto che avrebbe ricevuto aggiornamenti sulla sicurezza in cambio del sostegno in Parlamento. «Il primo ministro Netanyahu ha detto al ministro Ben Gvir una cosa semplice: chiunque voglia far parte di un gruppo ristretto di consultazione sulla sicurezza deve dimostrare di non divulgare segreti di Stato o conversazioni private», ha affermato il Likud, secondo cui gli articoli apparsi sui media sono «pieni di imprecisioni». In risposta, il partito di Ben Gvir, Otzma Yehudit, ha chiesto al primo ministro di sostenere una legge affinché i membri del governo siano sottoposti al test del poligrafo, compresi quelli che hanno un pacemaker. Un chiaro riferimento a Netanyahu che ne ha uno dallo scorso anno. «Non è il momento della politica meschina, di leggi che mettono in pericolo la coalizione che lotta per la vittoria sui nostri nemici». È l’appello di Netanyahu a fronte delle turbolenze nel governo e in maggioranza. «Siamo in guerra su più fronti e ci troviamo di fronte a grandi sfide e decisioni difficili. Chiedo a tutti i partner della coalizione di riprendere il controllo di se stessi. Concentratevi sulla sconfitta di Hamas, il rilascio degli ostaggi. Mettete via ogni altra considerazione e interesse collaterale», conclude Netanyahu.
Passano pochi minuti e si apre un altro fronte di scontro interno al partito del primo ministro e nella maggioranza di governo. Il tema è rovente e riguarda il testo della legge di riforma della leva in cui resterebbe l’esenzione dal servizio per i religiosi (Haredim). Il ministro dell’economia – e influente membro del Likud – Nir Barkat ha reso noto che non voterà il testo così come è. Barkat è il secondo ministro, dopo il suo collega alla difesa Yoav Gallant, a preannunciare il suo no ad un contestato provvedimento che conferma di fatto l’esclusione di una fetta di popolazione dalla leva in un Paese in guerra, abbassando addirittura l’età per essere esentati dalla coscrizione obbligatoria. Lo stesso esercito ha detto chiaramente che in queste circostanze tutti devono dare il loro contributo. Netanyahu, a poche ore dal voto alla Knesset, ha ritirato dall’agenda parlamentare la cosiddetta “legge sui rabbini” che regolava, tra le altre cose, anche il loro lavoro. Un provvedimento che ha provocato in queste settimane forti tensioni non solo con l’opposizione ma anche all’interno dello stesso Likud del premier. Di converso, la decisione di Netanyahu di ritirare il provvedimento ha scatenato le proteste dei partiti religiosi che fanno arte della maggioranza di governo. Il capo di Shas, Arieh Deri, ha apertamente detto che Netanyahu non controlla più il governo e che l’esecutivo ha i giorni contati. Tutti contro tutti.