Il gay pride a Roma
Gay pride, che errore sarebbe per Meloni e Salvini non salire sul carro della manifestazione dei diritti Lgbtq+
Non prendere parte alla manifestazione che celebra i diritti Lgbtq+ equivale a lanciare il messaggio di non condividere quei diritti
Editoriali - di Fulvio Abbate
L’assenza dei titolari dell’attuale governo di centrodestra-destra al gay pride romano di sabato scorso era stridente, forse perfino incomprensibile. Volendo, ingiustificabile. Per gli assenti stessi. Imperdonabile. E non sembri il nostro un paradosso, una provocazione. Non scorgere lì Giorgia Meloni, Matteo Salvini e, già che ci siamo, il centrista Antonio Tajani, è cosa vistosa, costringe quasi a ritenere che abbiano una concezione dell’esistente umano decisamente parziale. Quindi dell’intero vivente, per tacere sugli essenziali diritti civili di cittadinanza e tolleranza in senso ampio. Direbbe lo psicoanalista Jacques Lacan, del “desiderante”. Che tutti tocca e comprende.
Incomprensibile che abbiano lasciato posto e ghirlande arcobaleno dell’immaginifica Polinesia LGBTQI+, ossia dei diritti, in un’occasione di gioia, perfino semplicemente diportistica, festiva, ludica, lassù sul sound system, unicamente alla segretaria Pd Elly Schlein, a Riccardo Magi, ad Alessandro Zan, al sindaco Gualtieri, alla cantante e al microfono di Annalisa, madrina dell’evento. A Roma, in piazza della Repubblica, altrettanto sfavillava un cartello rosso innalzato da Bobo Craxi, risposta socialista e libertaria a chi reputi che il sesso debba essere regolato dal concetto di “normalità”. Perché suggerire al mondo e soprattutto a se stessi un tale bisogno di autoesclusione? C’è la festa più bella e vitale del momento e tu scegli di non partecipare? Verrebbe da chiedere così agli assenti.
Certo, restando alla Meloni qualcuno potrebbe obiettare che, diversamente da Sant’Antonio abate, la prima “ministro” non ha ancora conquistato il bene dell’ubiquità, dunque prioritario che restasse al G7 a Borgo Egnazia a ballare la pizzica con i colleghi stranieri. Né si dica che la pizzica sia un ballo implicitamente in difesa della famiglia cattolica, destinato così a opporsi alla techno del gay pride. Non vorremmo pensare che, in cuor nero suo, “solo Giorgia” custodisca il medesimo inquietante “candore” che animava Mussolini in tema di “frocitudine”. Si racconta infatti che, a suo tempo, solerti funzionari della buon costume in panno d’orbace, giunsero a Palazzo Venezia per supplicare, rivolti proprio al loro duce, di inasprire le pene per il reato di omosessualità (“pederastia”, veniva impropriamente pronunciato allora!) ricevendo come in tutta risposta che non fossero necessarie leggi repressive ulteriori poiché, parole testuali: “In Italia non ci sono omosessuali!”.
Ormai perfino Alessandra Mussolini ha fatto loro notare che l’amore “non deve conoscere barriere”. Detto da chi può vantare nel proprio trascorso carnet di viaggio un’invettiva ormai abiurata: “Meglio fascista che frocio”, è davvero un liberi tutti. Quanto a Matteo Salvini, sebbene uomo dalla gestualità barocca da pignolo tributarista, lo avremmo reputato attitudinalmente perfetto, insieme alla longilinea compagna Francesca Verdini, sul carro scoperto del Pride; certo, qualcuno, indispettito dalle sue uscite iniziali, lo avrebbe fischiato, insultato per la contiguità con il generale in vestaglia Vannacci ancora attestato sulla linea del bagnasciuga di una presunta “normalità” sessuale. Alla fine però gli stessi ne avrebbero comunque apprezzato l’atterraggio nel mondo reale: Canossa davanti al già citato “istinto desiderante” lacaniano.
Resta da immaginare infine Antonio Tajani, collo da sempre rigido sotto il colletto “taglio francese”, nessuno gli avrebbe comunque imposto di ballare sulle note di Emma Marrone rinunciando al tratto da generone romano ministeriale con vista sul Bar “Ciampini”. D’altronde, non è forse vero che il compianto Berlusconi, già suo principale in Forza Italia, riteneva che, tra tutti i complimenti ricevuti, il più bello lo aveva ricevuto un giorno in strada, ossia: “Silvio, sei davvero una bella figa!”? Si sappia che Vladimir Luxuria è al lavoro militante per portare nel 2027 l’Europride in Italia. Meloni e Salvini hanno due anni di tempo e riflessione per riparare al torto della recente, irricevibile, assenza.