Stato di polizia
Ddl Sicurezza: una dichiarazione di guerra ai diritti e alle libertà
Secondo l’Osce le norme del disegno di legge potrebbero minare i principi fondamentali del diritto penale e del nostro stato di diritto. Eppure la maggioranza ha respinto in blocco tutti gli emendamenti delle opposizioni
Giustizia - di Alessio Scandurra
La maggior parte delle disposizioni del Disegno di Legge n° 1660, il cosiddetto ddl sicurezza, potrebbero minare i principi fondamentali del diritto penale e dello Stato di diritto del nostro paese. Questo, né più e né meno, è il giudizio senza sconti che l’OSCE (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) mette nero su bianco nel parere sul ddl sicurezza pubblicato a fine maggio sul suo sito. L’OSCE è un’organizzazione internazionale, di cui l’italia è parte dalla sua fondazione, nel 1973, e di cui fanno parte altri 57 paesi in Europa, che si occupa di sicurezza e di cooperazione e che ha tra le sue finalità il sostegno ai diritti umani e allo stato di diritto nei sistemi giuridici nazionali. L’OSCE, e in particolare il suo Ufficio per le istituzioni democratiche e i diritti umani (ODIHR), esamina progetti di legge per valutare la loro conformità agli standard internazionali in materia di diritti umani e agli impegni che i paesi membri hanno assunto.
Ed il parere che l’OSCE ha espresso, come dicevamo, è decisamente negativo. Ma nonostante questo, e nonostante le numerosissime critiche che il disegno di legge ha ricevuto, l’altro ieri la maggioranza ha respinto in blocco tutti gli emendamenti delle opposizioni. Anche Antigone, ASGI ed Amnesty International, in una conferenza stampa tenutasi alla camera il 21 giugno, avevano espresso la loro profonda preoccupazione per il Disegno di Legge n. 1660 che, affrontando una gamma molto ampia di temi, si pone in contrasto frontale con i principi costituzionali italiani e i diritti umani esprimendo una logica repressiva, securitaria e disumanizzante, che strumentalizza le paure dei cittadini, in un paese in cui la criminalità è in calo da ormai molti anni, per introdurre meccanismi repressivi spesso vaghi ed arbitrari. Come con l’articolo 7, che amplia la possibilità di revoca della cittadinanza fino a 10 anni dalla commissione di un reato, l’ennesima misura xenofoba che fa discendere da una condanna penale una vendetta ulteriore e discriminatoria solo per chi non è di origine italiana.
O l’articolo 8, che introduce il reato di “occupazione arbitraria di immobile”, e rappresenta una ulteriore criminalizzazione del disagio abitativo ed uno strumento di intervento arbitrario, con garanzie giurisdizionali limitate, in un paese come il nostro in cui l’occupazione abusiva riguarda decine di migliaia di persone ed è spesso l’unica alternativa a politiche abitative inesistenti. O l’articolo 11, che inasprisce le pene per il blocco stradale, un vero e proprio attacco al dissenso, in particolare a quello degli eco-attivisti, e dunque l’ennesimo colpo contro i giovani, diventati ormai il principale nemico pubblico di questo paese sempre più anziano. La lista potrebbe andare avanti a lungo ma non posso non soffermarmi almeno sull’articolo 12, che elimina il rinvio obbligatorio della pena detentiva per donne incinte o le madri di bambini fino a un anno, norma propagandistica e discriminatoria, pensata chiaramente per colpire qualche decina di mamme Rom. O infine sugli articoli 18 e 25, che introducono il reato di rivolta penitenziaria, liberticidi e che rappresentano un passo verso uno stato di polizia, in cui per la prima volta si punisce anche la resistenza passiva, con pene peraltro molto severe e da eseguire con modalità analoghe a quelle che si usano per i mafiosi.
Ma, oltre al contenuto più o meno esplicito dei singoli articoli, è anche la modalità della loro formulazione a preoccupare. In particolare ad esempio l’OSCE afferma che “alcuni dei nuovi reati sono formulati in termini generici e vaghi, non sono specificati gli aspetti costitutivi delle fattispecie penali e ciò lascia spazio a potenziali interpretazioni e applicazioni arbitrarie”. Questo d’altronde è appunto il modo in cui si legifera nei regimi autoritari, mettendo a disposizione degli apparati di sicurezza strumenti il più possibile discrezionali. E proprio questo denuncia l’OSCE, che vede nei contenuti e nella formulazione del ddl “il rischio di scoraggiare l’esercizio dei diritti umani e delle libertà fondamentali da parte degli individui”.
*Antigone