Lo spettacolo al Teatro Belli

Dal barcone al palcoscenico, la fiaba degli attori migranti

A cura della Casa dei diritti sociali, con la regia di Magda Mercatali, lo spettacolo messo in scena da 9 studenti scampati a guerre e fame è un tripudio di gioia, di riscatto e di speranza

Cultura - di Filippo La Porta - 1 Luglio 2024

CONDIVIDI

Dal barcone al palcoscenico, la fiaba degli attori migranti

Diciamolo subito: se Cechov, redivivo, avesse potuto assistere alla recita del suo atto unico Una domanda di matrimonio da parte di un laboratorio multietnico, sarebbe stato felice. Lui che aveva attraversato l’intera Russia – una Babele di lingue ed etnie – per arrivare nell’isola di Sachalin, la colonia penale su cui avrebbe scritto un bellissimo reportage, un luogo dove Puškin e Gogol’ sono incomprensibili e “l’anima è invasa da quel sentimento che, forse, ha già provato Odisseo mentre navigava per mari sconosciuti”. Lo spettacolo messo in scena al Teatro Belli il 3, 4 e 5 maggio scorsi ad opera della Casa dei Diritti Sociali, con l’adattamento e la regia di Magda Mercatali, e interpretato da nove studenti-attori-migranti provenienti da Mali, Senegal, Iran, Ucraina, Marocco, Ecuador, Capo Verde, Burkina Faso, è stato una delle cose più commoventi e al tempo stesso divertenti cui io abbia assistito a teatro negli ultimi anni.

Un’esperienza, quella del Laboratorio teatrale di Casa dei Diritti Sociali, iniziata dieci anni fa: in essa Magda Mercatali – attrice nota e insegnante volontaria nella stessa scuola – mette al servizio dei suoi studenti la enorme esperienza teatrale e drammaturgica, favorendo, oltre all’apprendimento della lingua, la loro integrazione. Negli anni scorsi ha rappresentato sulla scena, con felice temerarietà, opere diversissime tra loro, dai funambolici giochi di parole di Achille Campanile (ancora più surreali in bocca a migranti nigeriani o iraniani….) a una versione poliglotta dell’ Orlando furioso (dove si riprende l’idea che Orlando poté salvarsi poiché sapeva molte lingue) fino a un babelico Olimpo degli dei greci. Molti dei migranti attori non sapevano una parola di italiano fino a poco tempo fa, alcuni sono sbarcati dai gommoni solo l’anno scorso, e all’inizio dello spettacolo si è proiettato il video dell’arrivo di uno di loro: “Io capitano”! Ecco un caso in cui tutto il discorso sugli extracomunitari come “risorsa”, che può a volte apparire come una nobile ma astratta retorica, diventa un esempio concreto, tangibile e per certi versi contagioso.

Due parole sull’atto unico di Cechov, un vaudeville giocoso, brillante, solo apparentemente secondario, e tale ritenuto dall’autore: in realtà un’opera di genialità assoluta. Nella sconfinata campagna russa un signore di mezz’età vestito in frac va a chiedere la mano della figlia del vicino di casa. Sono entrambi possidenti. Il padre ne è arcicontento perché si libera finalmente della figlia. La figlia ancora di più perché ha l’occasione di sistemarsi. Ma durante il colloquio qualcosa va storto. Inizialmente sembrano tutti andare d’amore e d’accordo quando, del tutto incidentalmente, il pretendente fa riferimento a un piccolo terreno, il praticello del bove, di sua proprietà. A quel punto padre e figlia protestano vivacemente che quel praticello è loro! La discussione si tramuta subito quasi in rissa, con grida e insulti. Poi riescono a calmarsi ma il pretendente stavolta fa incautamente cenno al suo amato cane da caccia, il migliore della zona. Apriti cielo: “Il cane migliore, più veloce ed efficiente è il mio”, protesta con vigore la promessa sposa, e di nuovo un putiferio.

Insomma, per Cechov, gli esseri umani passano la vita a bisticciare, e lo fanno per un nonnulla, per un puntiglio. Altro che l’interesse di cui parlava Marx (noto per inciso che i bolscevichi un poco diffidavano di Cechov, che veniva rappresentato raramente a teatro)! L’interesse ancora razionale. No, a governare il comportamento umano è l’impuntatura, il capriccio infantile, le più assurde pretese dell’io, la smania di aver ragione a tutti i costi, l’inezia che diventa tragedia. Dietro l’Ucraina si agitano scenari geopolitici e interessi economici di enorme portata, ma tutto nasce anche da una impuntatura di Putin, convinto che l’Ucraina in sé non esista – è stata una invenzione di Lenin! – e che invece appartiene naturalmente alla Russia. Non intendo sminuire complesse ragioni ideologiche ed economiche che sottendono i conflitti planetari. Però dovunque ci volgiamo scopriamo un “praticello del bove” conteso tra i litiganti, il cui possesso genera migliaia di vittime. Poi, sul laboratorio. Gli attori-migranti, coordinati dalla regista, giocano con la propria parte in un divertito straniamento brechtiano, e mentre recitano ci parlano del loro paese, delle usanze, dei riti matrimoniali, della propria religione e della propria cultura.

Il pubblico usciva dal teatro sorridendo e interrogandosi ancor più su quell’enigma senza soluzione che è l’esistenza umana, con i suoi moventi inscrutabili e il suo magmatico sottosuolo (o praticello). Come sapeva Leopardi la poesia autentica si riconosce perché – anche la più disperante – accresce la nostra vitalità. Questa è stata l’esperienza degli spettatori nelle tre serate. La drammaticità delle biografie degli attori resta tutta, ma viene come trasfigurata nel rito teatrale e nel gioco poetico della messinscena. Abbiamo tutti riscoperto, attraverso un’esperienza viva, coinvolgente come il teatro, e non attraverso un sapere concettuale, che la varietà inesauribile del mondo è un bene prezioso, capace di arricchire il mondo. e che le ossessioni identitarie invece lo impoveriscono. Nota finale. Magda Mercatali – occorre ricordarlo – è stata affiancata nell’impresa da molti altri volontari, insegnanti della stessa scuola o professionisti come la scenografa Lia Morandini per i costumi – prestati dalla Sartoria teatrale Farani – e Giuliano Taviani per le musiche.

1 Luglio 2024

Condividi l'articolo