Il caso dei Giovani Fdi
Inchiesta Fanpage, le reazioni a destra tra piagnistei e silenzi: si salva solo Giuli
Il presidente del Maxxi è l’unico in quota FdI ad aver censurato razzismo e antisemitismo della meglio gioventù meloniana
Editoriali - di Fulvio Abbate
Ad Alessandro Giuli, intellettuale assimilato al contesto politico di Fratelli d’Italia, autore del saggio Gramsci è vivo, presidente del Museo MaXXI, vanno riconosciuti garbo e correttezza dialettica. Ospite de La7, pronuncia parole che smentiscono l’ambiguità che altri esponenti dell’attuale destra-destra istituzionale – Meloni compresa – fanno invece proprie come bandiere identitarie. Cioè che il “regime” andrebbe ravvisato nei responsabili (leggi: Fanpage) di un’inchiesta destinata a stigmatizzare il portato nazi-fascista, razzista, omofobo e antisemita dei pulcini neri di Gioventù nazionale. Prosa e prossemica da Roma Nord. La replica chirurgica di Francesco Cancellato: “Spostare il fuoco dal merito al metodo: questo ha fatto Meloni rispondendo sulla nostra inchiesta. Ma dietro c’è anche l’ennesimo tentativo di limitare la libertà di stampa. E questo sì è un metodo da regime”.
Benaltrismo: tecnica populista diffusa, rodata, mutuata, anche da chi ha ruoli apicali, dalla culturalmente stentata, sull’orlo dell’analfabetismo conclamato, “plebe” social. Spostare, appunto, ora e sempre l’oggetto, declassarlo, travisarlo; per affermare così consenso a basso costo rionale; lezione appresa da Goebbels e, più di recente dal guru di Trump, Steve Bannon: “E allora quegli altri?” “Maalox”, “rosiconi”, “radical chic”, “ZTL”, “sinistri” e infine, con frasario da fureria, “zecche”. Forse, in cuor suo, la stessa “scrivi Giorgia” concepisce proprio come “zecche” chi dovesse obiettarle qualcosa. Alessandro Giuli, smentendo il Secolo d’Italia, Minculpop d’ufficio governativo che ribatte alle dichiarazioni di Liliana Segre (“Dovrò essere cacciata ancora dal mio paese?”) titolando: “Esiste un problema antisemitismo ed è anche a sinistra: lo scriveva il marito di Liliana Segre sul Corriere”. Nuovamente l’oggetto spostato nell’altrove dell’ambiguità. Giuli, dicevamo, si è pronunciato invece con chiarezza accennando a “pozzanghere da bonificare”. E ancor di più, per chi sappia leggere in filigrana, ha implicitamente aggiunto che il personale politico attuale di Fratelli d’Italia al governo mostra carenze attitudinali surrogate tuttavia dall’immaginario trascorso fascista, paccottiglia identitaria. Più prosaicamente: sotto il basco grigio-verde con giro di bitta della repubblica di Salò, già indosso ai loro nonni, niente.
Restando al ceto intellettuale meloniano, non stupisca il silenzio interessato di Pietrangelo Buttafuoco, incomprensibilmente blandito anche da molte anime belle “di sinistra”, come ha fatto notare tempo addietro Paolo Flores d’Arcais, lo stesso Buttafuoco che dalla Meloni ha ricevuto bastone di comando e “fascia littorio” di presidente della Biennale di Venezia. O la reazione stizzita di Francesco Giubilei: “Se domani Il Giornale, Libero o la Verità infiltrassero una persona nella redazione di Repubblica, il Manifesto, Il Fatto, cosa accadrebbe? È una pratica concessa in democrazia?” Bobo Craxi così gli ha replicato: “Ma a che serve ‘sto piagnisteo? Disinfestate ‘sta fascisteria e non se ne parli più”. E d’altri ancora, soddisfatti per il sentore di nuovi voucher e buoni-pasto, cioè incarichi, ricevuti o comunque in arrivo. Occorre menzionare ora il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, che, sempre sul caso Gioventù nazionale, davanti ai microfoni dei cronisti, infilando frettolosamente il portone Palazzo Chigi, chiama in causa la Cambogia dei khmer rossi di Pol Pot.
Ora la domanda per Alessandro Giuli è semplice, quasi scolastica… Dimenticavo: sono stato spettatore della presentazione romana proprio del suo saggio su Gramsci e l’egemonia, avendo sensazione che la “bella gente” della grande bellezza romana al tempo di “solo Giorgia” fosse lì per ragioni di prevedibile servile ossequio, postura da “clientes”, aspiranti portatori d’acqua, magari addirittura sciacquini, verso i “nuovi padroni” della biglietteria politica e, forse, culturale alternativa all’odiato “mainstream”. Tuttavia in silenzio acefalo circa i nodi posti da Giuli; complessità assente, semmai contraltare all’amichettismo non meno irricevibile della sinistra abbinata all’eterno Veltroni.
Già, la domanda: pozzanghere, va bene, (altri, in verità, avrebbero detto direttamente canali di scolo, “fogna”) “pozzanghere da bonificare”, come già “l’Agro redento” nella retorica del cinegiornale Luce o nei dispacci dell’Agenzia Stefani, imparaticci mussoliniani, tutto vero, ma sarà possibile creare una classe dirigente presso la destra post-missina che, accanto al rifiuto del nazifascismo, apprenda anche le semplici aste del discorso dialettico, senza mai più spostare, appunto, il focus come fa la stessa Meloni con smorfie studiate? O forse, carissimo Alessandro, i nostri parvenu, in attesa della vittoria di Trump, pensano che le persone “di sinistra” abbiano davvero tutti il poster di Pol Pot nella “terrazza” già mostrata da Ettore Scola nel suo film? Gli stessi che probabilmente ritengono che la “Costituzione” stessa sia altrettanto argomento da “radical chic”.