I centristi francesi non vogliono Mélenchon al governo, i socialisti neppure, il capo dei verdi nemmeno. Ma senza Mélenchon il governo non si fa. È sul nome del leader di “La France Insumise” (Lfi), Jean-Luc Mélenchon – 72 anni, grande capacità di infiammare le piazze e rapporti non idilliaci con i meno brillanti colleghi di piattaforma elettorale – che si gioca la partita politica di questo sorprendente luglio francese. Sconfitta con affluenza alle urne del 66% l’estrema destra di Marine Le Pen, relegata a un inaspettato terzo posto, l’incognita è ora la battaglia nel Nuovo fronte popolare per costruire il nuovo gabinetto. La sinistra è prima, ma il vantaggio è insufficiente a governare da sola. Per un governo di coalizione alla tedesca non si vede per ora un orizzonte di accordo possibile in Francia.
Il primo ministro uscente, Gabriel Attal, ha presentato le sue dimissioni ieri mattina. Ma come era prevedibile, il presidente Emmanuel Macron gli ha chiesto di rimanere “per il momento” per “assicurare la stabilità del paese”. Il blocco di sinistra Nuovo fronte popolare (Nfp) è la forza più votata con 182 deputati, un risultato festeggiatissimo in piazza anche perché inatteso, ma 182 seggi sono pochi per governare da soli. I partiti macronisti, nonostante abbiano salvato la pelle con 168 deputati, non possono sperare di formare di nuovo un governo da soli nemmeno se riuscissero a convincere i conservatori di Los Republicanos (Lr) a unire i loro 45 deputati ai loro ce la farebbero. Se la sinistra vuole governare – e i suoi leader hanno già dichiarato che si aspettano da Macron di esser chiamati per primi e che sia chiesto a loro di proporre un nome per il primo ministro – avrà bisogno dei centristi.
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Il blocco centrista ha chiarito da parte sua che non accetterà una coalizione in cui ci sia la sinistra radicale del partito di Jean-Luc Mélenchon, il quale a sua volta esclude qualsiasi alleanza al di là della Nfp e insiste per ora nella inemendabilità del suo programma definito durante la campagna “estremista” e “pericoloso” dal macronismo che respinge categoricamente le richieste della sinistra: aumentare il salario minimo a 1.600 euro, imporre di nuovo tasse elevate ai più ricchi e abrogare la riforma delle pensioni imposta dal governo Macron per decreto dopo mesi di proteste di strada. Anche la scelta di un nome unico dalla sinistra come capo del governo è complessa: il partito socialista ha raddoppiato i suoi seggi, ma la formazione di Mélenchon sarà (nella sinistra) quella con più deputati, fino a 79. Qualcosa che rende difficile per il resto del Fronte ignorare Mélenchon. “Quelli che ci spiegano che vogliono fare una maggioranza senza Mélenchon e la sua Lfi non hanno avuto gli stessi miei insegnanti di matematica. Non vedo come questo sarebbe possibile”, ha detto la leader degli ambientalisti, Marine Tondelier.
Durante tutta la campagna, la questione di chi sarebbe stato proposto come primo ministro o ministro se la sinistra avesse vinto è stata rinviata a dopo le elezioni. Il momento è arrivato: sia il leader del Partito Socialista, Olivier Faure, che Tondelier hanno indicato in due interviste ieri che cercheranno di proporre un nome “questa settimana”. Secondo quanto riferisce l’ambientalista, i leader del ”Fronte” si sono già incontrati due volte la scorsa notte e si vedranno più volte nelle prossime ore. Ha ammesso anche lei che “non sarà facile” concordare un nome. I giochi sono aperti. Mélenchon ambisce all’Eliseo, potrebbe anche decidere di non bruciarsi, non transigere su nulla e aspettare il 1927 per confrontarsi con Marine Le Pen.