Il voto francese
Intervista a Eric Joszef: “La Francia deve imparare l’arte del compromesso”
«Il no all’estrema destra xenofoba è stato forte e chiaro. Ma sarebbe un errore pensare che adesso bisogna attuare tutto il programma del Nfp. Certo,c’è una richiesta di maggiore giustizia sociale, anche la sinistra deve saper negoziare e trovare i compromessi necessari per far scendere la tensione nel Paese»
Interviste - di Umberto De Giovannangeli
Eric Jozsef, storico corrispondente in Italia di Libération. Partiamo dai dati definitivi del secondo turno delle elezioni legislative francesi: il Nuovo Fronte popolare, che ha unito le diverse formazioni gauchiste, ha ottenuto 182 seggi. Ensemble, il raggruppamento centrista macroniano, 168. Rassemblement National di Marine Le Pen, alleato con una parte dei Republicains di Eric Ciotti, 143. Fuori dagli slogan di parte, qual è il segnale di fondo di questo voto che ha sovvertito le previsioni della vigilia?
Il segno principale, a mio avviso, è che di fronte all’avanzata netta dell’estrema destra alle elezioni europee, confermata poi al primo turno delle legislative, al secondo turno è emerso che due terzi dei francesi non vogliono l’estrema destra al potere, che non vogliono una destra xenofoba, razzista, omofoba, pro-Putin e con candidati incompetenti. Questo è il messaggio principale. Gli elettori sono pronti a turarsi il naso per votare candidati che pure sono molto lontani dalle loro posizioni politiche, pur di impedite al Rassemblement National di andare al potere. Questa è la principale lezione di questo secondo turno, sapendo che non era per nulla scontato.
Perché?
Per una serie di motivi. Perché, per dirne uno, gli appelli dei partiti sono stati anche in questa occasione incompleti, infarciti di distinguo. Tuttavia, a prevalere nettamente è stata la volontà di dire No al Rassemblement National. Dopodiché si apre una fase di grande incertezza, in un Paese che rimane comunque molto frammentato, dove nelle ultime settimane si sono viste violenze, non solo verbali. La Francia resta un Paese molto diviso, con una fortissima incognita politica. Tutti i nodi non sono assolutamente risolti, però il segnale di dire No all’estrema destra è emerso forte e chiaro.
Alla prova dei risultati, la scelta dell’inquilino dell’Eliseo, Emmanuel Macron, di sciogliere l’Assemblea Nazionale, subito dopo i risultati delle europee, e andare immediatamente ad elezioni anticipate, non si è rivelata un azzardo. O no?
Macron aveva chiesto un chiarimento. Da un lato questo chiarimento, limpido e netto, c’è stato: la Francia maggioritaria non vuole l’estrema destra al potere. Tutto il resto, però, è stato un azzardo, una scommessa non riuscita per Macron. I risultati parlano chiaro: il voto indebolisce Ensemble, il raggruppamento centrista macroniano, che perde 94 deputati; i suoi più stretti collaboratori si stanno allontanando da lui. Domenica, subito dopo la chiusura dei seggi e le prime proiezioni, il Primo ministro Gabriel Attal – che ieri ha rimesso il suo mandato, dimissioni respinte da Macron -, ha fatto un discorso nel quale non ha mai citato Macron, dicendo di aver subito lo scioglimento dell’Assemblea Nazionale, che non lo condivideva. Adesso rimane un presidente impopolare, indebolito, con una maggioranza che sarà molto difficile trovare, con istituzioni che escono indebolite, perché la Quinta Repubblica non prevede questo. Prevede un Presidente forte, legittimato dal suffragio universale diretto ma anche da una maggioranza chiara in Parlamento. Oggi siamo in una situazione in cui c’è una grande polarizzazione. Ma malgrado questa polarizzazione, i partiti devono imparare, e in fretta, a fare compromessi, negoziati necessari per dare al Paese un governo. In ultima analisi, quella di Macron è stata una scommessa che il popolo francese ha vinto ma che il Presidente ha perso.
Veniamo al risultato del Nuovo Fronte popolare: con 182 seggi, Il Nfp è il primo raggruppamento parlamentare nella nuova Assemblea nazionale. Cosa c’è alla base di questo risultato?
Anche qui, c’è la volontà di dire di no all’estrema destra. Il fatto che comunque almeno il 50% degli elettori macronisti si sono turati il naso per votare candidati della sinistra. La sinistra cresce perché si è presentata unita di fronte ad una maggioranza presidenziale che è stata indebolita dall’impopolarità di Macron. Stento a pensare che sia stato un sostegno a tutto il progetto della sinistra. Sarebbe un errore pensare, come dice Mélenchon, che adesso bisogna attuare tutto il programma del Nuovo Fronte popolare. Certo in Francia c’è una richiesta di maggiore giustizia sociale; certo c’è la volontà di rifiutare una riforma delle pensioni ingiusta. Dopodiché, non c’è una maggioranza nel Paese e in Parlamento per sostenere il programma del Nfp. Anche a sinistra bisogna imparare il negoziato e cercare di trovare quei compromessi necessari per far scendere la tensione nel Paese.
Guardando all’Italia, Paese che conosce molto bene. L’insuccesso di Marine Le Pen come ricade su Giorgia Meloni?
Per Giorgia Meloni il risultato francese mette ancor più in evidenza la sua situazione, diciamo così, incomoda.
Nel senso?
Da una parte, Meloni cerca di darsi una parvenza di “centrismo”, di normalizzarsi rispetto ai rapporti con l’Europa, anche attraverso il suo filoatlantismo sull’Ucraina. Dall’altra parte, però, deve fare i conti con una base, elettorale e militante, di Fratelli d’Italia ancora molto identitaria, che la riporta verso l’estrema destra. Finora, per quasi due anni, è stata abile a navigare tra queste due direzioni. Adesso diventa molto più difficile tenere questo equilibrio, anche perché al parlamento europeo si forma il gruppo dei “Patriots” che vede uno dei suoi due vicepresidenti del Consiglio, Salvini, e la destra francese, che rimane comunque il primo partito nel gruppo dei “patrioti”, stare insieme ad Orban. Per Giorgia Meloni sarà sempre più difficile trovare un equilibrio sostenibile tra essere partito di governo e un filoidentitarismo ancora molto forte.
Per tornare sulla Francia. I giovani, stando ad analisi sul voto, hanno guardato e votato, in maggioranza, a sinistra.
Già al primo turno si era visto che la sinistra era stata premiata dai giovani. La maggioranza dei giovani vuole una Francia aperta, una Francia che non sia ripiegata su se stessa, una Francia più giusta socialmente, ma soprattutto non vogliono una Francia xenofoba, razzista. Questo è stato confermato al secondo turno. Il problema oggi, torno a insistere su un punto che a me pare davvero cruciale, è fare in modo che le aspirazioni alla giustizia sociale passino anche attraverso delle maggioranze politiche e parlamentari. Attenzione a non ritenere che questo successo politico sia una vittoria parlamentare e un sostegno a tutto il programma del Nuovo Fronte popolare. La Francia deve imparare a fare come alcune altre grandi democrazie europee, cioè l’arte del compromesso, dove il governo si decide attraverso discussioni e accordi in Parlamento. La Francia non è abituata a questo, è abituata alla polarizzazione e all’affermarsi di una maggioranza netta. Occorrerà, i risultati elettorali lo impongono, aprire un nuovo capitolo e ciò non sarà facile. Non sarà facile cambiare cultura politica, quando questa cultura politica e istituzionale è stata plasmata dalla Quinta Repubblica dal 1958.
E dal punto di vista europeo cosa ha rappresentato il voto di domenica?
Un ottimo segno. Una vittoria del Rassemblement National avrebbe significato una minaccia concreta sul proseguimento del percorso europeo. Anche se La France Insoumise di Mélenchon è stata molto critica e a volte euroscettica sull’Unione Europea, almeno sulla carta abbiamo una maggioranza pro-europea, che dovrebbe sostenere il progetto europeo e, in particolare, l’Ucraina, che non è da poco.
Sul piano politico, che lezione dovrebbe trarre il centro-sinistra italiano dal voto francese?
Dovrebbe capire di non avere paura a mobilitarsi contro l’estrema destra. Per troppo tempo, il centro-sinistra ha accettato cose inaccettabili.
Ad esempio?
Avrebbe dovuto reagire con molta più fermezza rispetto all’atteggiamento e alle dichiarazioni del presidente del Senato, La Russa, quando ha attaccato i partigiani di via Rasella. In quel frangente, a mio avviso, la sinistra è stata troppo debole rispetto a certe prese di posizione. Ed è stata troppo debole di fronte alla presenza nella compagine governativa di ministri che hanno reso omaggio al generale Graziani, penso in particolare al ministro Lollobrigida. Adesso c’è la Meloni che manda una lettera per criticare l’atteggiamento di giovani del suo partito che hanno manifestato, in parole e gesti, nostalgia verso il fascismo e pure il nazismo. E lo fa, “dimenticando” che nella sua maggioranza ha esponenti che hanno fatto manifestazioni molto vicine a quello che hanno detto ed esibito questi giovani militanti di Fratelli d’Italia. Una maggiore decisione verso posizioni assolutamente inaccettabili: è quello che dovrebbe mostrare il centro-sinistra italiano. In questo, ciò che è avvenuto in Francia, potrebbe servire da lezione.
Altro?
Cercare di mettere a punto un programma politico unitario per battere una destra radicale nelle urne. Un terzo elemento, secondo me il più importante in prospettiva, è riflettere sui motivi per i quali ci troviamo in situazioni nelle quali le nostre democrazie rischiano di essere consegnate all’estrema destra. Si dovrebbe prendere in considerazione che l’elemento centrale è che il voto per la destra ha spesso alla base una richiesta di sovranità politica. Ma questa sovranità politica la si riconquista soltanto a livello europeo. In buona sostanza, quello che vogliono i cittadini è una politica che sia in grado di prendere decisioni sulle grandi questioni che riguardano la vita di ognuno di noi. E questo ormai lo si fa a livello europeo. È la posta in gioco più pregnante. Il voto per l’estrema destra è molto spesso una richiesta di politica, di una politica che può fare politiche sociali, investimenti, una lotta concreta contro le diseguaglianze. Queste politiche si possono fare solo a livello europeo. Ad esempio, tassare le ricchezze per ridistribuire. Infine, non si può pensare, in prospettiva, di vincere le elezioni solo perché l’avversario fa troppo paura, è troppo incompetente o è troppo minaccioso per la democrazia. Oggi, la sinistra non vince sulla forza dei suoi programmi, della sua visione sul futuro, vince perché gli altri hanno dimostrato incompetenza e, guardiamo alla Gran Bretagna, hanno portato con la Brexit ad una situazione catastrofica. La sinistra, domenica, ha vinto soprattutto perché i francesi non volevano l’estrema destra al potere. Ma non è così che la sinistra deve vincere, o accontentarsi di questo. Deve vincere sui programmi e sulla capacità di trasformare la vita dei cittadini. E questo non lo si può più fare a livello nazionale ma solo attraverso una vera politica europea.