L'impresa della sinistra

L’impresa del fronte popolare in Francia è una lezione alla nostra sinistra e ai media collusi con Meloni e co.

Resistenza e contrattacco: il Nuovo fronte popolare ha fermato l’avanzata dei nipotini dei fascisti impartendo una lezione ai Letta e ai Gentiloni oltre che ai media

Editoriali - di Michele Prospero

9 Luglio 2024 alle 16:30

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L’impresa del fronte popolare in Francia è una lezione alla nostra sinistra e ai media collusi con Meloni e co.

Solo la Francia poteva fornire una risposta tanto efficace all’ascesa della destra radicale, che sembrava davvero incontenibile. Dalle sue tradizioni migliori di lotta la sinistra ha recuperato le forze residue per cercare di mettersi di traverso all’ineluttabile. Non contenta della dimostrazione di sopravvivenza ostentata in faccia a un nemico mai così satollo di risorse e appoggi, ha mobilitato le energie frammentate per trasformare una disperata guerra difensiva in una imprevedibile azione offensiva. La resistenza davanti al pericolo massimo è un’impresa ardua da organizzare giacché, prima di colpire l’assalitore, bisogna vedersela con le proprie truppe sfiduciate a causa della sensazione di vulnerabilità. Per convincere le masse a reagire allo scopo di conservare le postazioni rimaste incustodite della Repubblica, servono serbatoi di voglia che solamente culture politiche dalla memoria lunga sono in grado di alimentare. Quando in Italia si trattava di gestire la medesima operazione per sbarrare il cammino alla fiamma tricolore, il leader venuto proprio da Parigi si diede alla fuga più disonorevole.

Letta affermava che nel mondo attuale era improponibile un duello declinato all’antica come il rosso che si scaglia contro il nero. Per lui era consigliabile recitare la scenetta edificante di “Sandra e Raimondo”. Una minoranza vorace ha così avuto il dono di Palazzo Chigi e dal governo si è subito fiondata all’aggressione senza infingimenti della Costituzione. I centristi francesi hanno palesato uno spirito assai diverso rifiutandosi di prestare le chiavi di palazzo Matignon senza nemmeno accennare a un combattimento. A suonare risoluto la carica, per dare scacco a chi ormai assaporava la rivincita storica, è stato per l’appunto il tecnocrate Macron, il quale non ha esitato un attimo a giocare la carta antifascista, che è un argomento serio e ha portato bene a tutti in un fantastico secondo turno. La folla accorsa in quella che una volta si chiamava “place de Stalingrad”, oltre alle strofe degli Inti-Illimani che nella triste penisola sono da lustri dimenticate insieme ai più evocativi canti di lotta, ritmava “siamo tutti antifascisti” e intonava persino le note di Bella Ciao. Un immeritato omaggio all’Italia che, nella sue classi dirigenti, non è stata capace neanche di coltivare il sentimento della vergogna al cospetto della catastrofe combinata nel 2022, l’anno funesto in cui permisero la crescita del prototipo di un fascismo da esportazione.

Un filosofo moderato, che come Letta viene dalla Margherita, prima delle legislative francesi ha scandito in tutte le salse di lasciar perdere con il Fronte popolare, “una cosa vista e rivista”. Soprattutto se la prendeva con Bella ciao perché, dinanzi al riecheggiare della canzone partigiana, “molto meglio mettere alla prova la stessa Le Pen”. Il richiamo sprigionato da una qualche forma di “Le Pen-siero negativo” lo induceva a sentenziare che il Fronte, un “raffazzonamento dell’ultimo momento”, avrebbe certamente fatto naufragio e “rafforzato le varie destre”. E invece è stata precisamente la drammatizzazione dello scontro ad arrestare Bardella, privo di ogni attitudine espansiva al di là del sostegno identitario di partenza, facendolo precipitare terzo nei seggi. La polarità République-estrema destra ha rinvigorito la sinistra plurale, che si è piazzata in prima posizione all’Assemblea nazionale effettuando un sorpasso di raro e romantico splendore. Sapranno di sicuro poco di “metafisica concreta”, ma Thuram, Koundé e Mbappé, che in aggiunta ai piedi buoni rivendicano un cervello ben allenato, hanno promosso un Comitato di liberazione della nazionale lanciando poderosi appelli nel segno di un fascinoso antifascismo militante.

Anche il quotidiano cattolico La Croix, di fronte agli appetiti di conquista vagheggiati da un becero conservatorismo clerico-fascista foraggiato da ricchi sfondati alla Bolloré, ha sfidato la reazione in agguato con uno straordinario editoriale di apertura: “Non possumus”. I giovani, comunque, sono stati i protagonisti principali della riscossa scegliendo in blocco i simboli frontisti come non accadeva da decenni. Qualcosa è cambiato nelle dinamiche politiche continentali. Gli inglesi non hanno abboccato ad un pesce di nome Ruanda, e dopo di loro è toccato ai francesi respingere le basse ricette della esclusione orientate alla “preferenza nazionale” nei posti apicali della pubblica amministrazione. In Italia soltanto le destre seguitano a volare alte nei consensi ingaggiando tra di loro una gara oltraggiosa a chi provoca maggiormente nella scrittura di norme tese alla umiliazione della dignità dei migranti. La Meloni ha sparato le sue ultime cartucce pre-elettorali con il viaggio nel gulag albanese. In Francia questa caccia allo straniero, all’islamico non funziona più poiché i figli degli immigrati – nonostante la recente stretta macroniana sullo “ius soli” – hanno il diritto di voto e lo usano con indubbia saggezza restituendo alla gauche le periferie smarrite, i ceti popolari abbandonati.

La “diabolizzazione” di Mélenchon mediante la chiacchiera sul doppio estremismo in campo, prontamente raccolta in Italia da Corriere, Repubblica e Stampa, è fallita in modo misero. Neppure l’accusa grottesca di antisemitismo ha scalfito la reputazione di questo “trotzkista dell’Ottocento” (dice giustamente Giuliano Ferrara, che però civettando con la nuova scansione temporale decretata dal ministero della Cultura consegna il condottiero dell’Armata Rossa al secolo diciannovesimo). Grazie a proposte programmatiche mirate, radicali sì ma non al punto da essere relegate nel mare del velleitarismo ideologico, egli ha reciso sul terreno di battaglia essenziale, quello sociale, il legame della destra con il popolo. La nocività inaudita del lepenismo è racchiusa fra l’altro in un manifesto elettorale che ne rivela chiaramente l’indole: “Je suis gendarme, je vote Bardella”. Il Rassemblement National, da autentica macchia bruna, ambiva alla militarizzazione della politica e alla politicizzazione delle divise in una resa dei conti che prenotava scenografie da macelleria messicana.

Il Fronte ha vinto guadagnando 182 deputati (ai quali vanno potenzialmente sommati ulteriori 13 eletti di sinistra). Il galateo istituzionale esigerebbe adesso che l’Eliseo non ostacolasse la formazione di un esecutivo di minoranza. Mentana, che per le europee ha tentato di fare di Giorgia la rosa purpurea di Cairo, durante la maratona francese si spremeva le meningi per capire come scindere un pezzo del Front populaire, incollarlo ad Ensemble, poi montarlo assieme ai Républicains, infine fonderlo coi restanti tasselli di centro e costruire magicamente la mitica governabilità. Sarebbe, questo, un tradimento ingiurioso della volontà popolare dato che, senza la spinta gauchista nelle cabine, Macron e i gollisti responsabili avrebbero racimolato tutt’al più un pugno di mosche. La sintesi della indelebile giornata di domenica l’ha offerta Marcus Thuram: “Viva la mescolanza, viva la Repubblica, viva la Francia. La lotta continua”.

9 Luglio 2024

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