Piano piano inizia a farsi largo la verità su quello che successe in Sicilia nei primi anni Novanta, e che portò all’uccisione di Giovanni Falcone, di sua moglie, di Paolo Borsellino e di diversi uomini e una donna delle loro scorte. E poi alle stragi del ‘93. Si sta diradando la nebbia. Sono successe tre cose importanti in questi mesi. La prima è stata la sentenza definitiva del processo trattativa Stato-mafia, con la quale la magistratura ha chiarito che non c’era stato nessun reato da parte del generale Mori e dei suoi Ros, né di Dell’Utri e Mannino.
La seconda sono state le audizioni in commissione antimafia, dalle quali è risultato chiaro che il motivo delle stragi fu il tentativo (riuscito) di bloccare il dossier mafia-appalti, curato proprio da Mori su mandato di Falcone (che coinvolgeva molte importanti imprese del Nord) e si è saputo con esattezza cosa aveva detto Borsellino alla moglie poco prima di essere ucciso: “Non sarà la mafia ad uccidermi ma i miei colleghi”. La terza cosa è stata l’inchiesta aperta dalla magistratura di Caltanissetta, la quale per ora è arrivata a spedire avvisi di garanzia (per reati gravissimi e di aiuto alla mafia) all’ex Pm Gioacchino Natoli e al generale della Finanza Stefano Screpanti. L’ipotesi – che ormai è molto più di una ipotesi – è che una parte della magistratura e delle forze dell’ordine lavorarono per insabbiare il dossier di Mori e dei Ros. Con successo.
L’insieme di questi fatti nuovi, o comunque emersi solo ora con grande chiarezza, stravolge il quadro che mass media e politica avevamo dipinto. Il processo contro Mori e Dell’Utri, oggettivamente, è servito solo a portare le indagini lontane dalla verità, mettendo sotto accusa proprio coloro (il gruppo di Mori) che avevano tentato di assestare un colpo terribile alla mafia, guidato da Falcone e Borsellino. Pezzi consistenti della magistratura di Palermo misero i bastoni tra le ruote del piccolo gruppo che combatteva davvero la mafia e hanno facilitato l’uccisione di Falcone e Borsellino e poi l’incriminazione di Mori. Ora si tratterà di capire quali siano state le responsabilità personali. Di chi, in quale misura e se per errore o per dolo. Intanto però i fatti sono chiari. E anche le forze politiche e i giornali dovrebbero prenderne atto. Per anni quella che credevamo essere l’antimafia era un carrozzone senza conoscenze o – forse, in parte – con pessime conoscenze.