I giudici hanno il diritto (sono pagati a quanto pare soprattutto per quello) di tenere agli arresti domiciliari o in galera chiunque, ma non hanno il diritto di trattare un indagato da cretino, spiegando, come fanno le toghe del Riesame di Genova, che il presidente della giunta regionale Giovanni Toti “non ha capito la natura delle accuse e per questo potrebbe reiterare il reato”. I giudici spiegando i motivi per cui mantengono la misura cautelare affermano che le ipotesi di corruzione sono sorrette da gravi indizi che Toti non ha inteso contestare. Stefano Savi, l’avvocato difensore, preannunciando il ricorso in Cassazione che sarà discusso non prima dell’autunno, replica: “Non è vero che nell’interrogatorio Toti non ha detto nulla. Abbiamo dato una nostra interpretazione di un modo di fare politica”.
La difesa prende atto che almeno da parte del Riesame si nega che vi sia per il governatore un rischio di inquinamento delle prove. Ma quel “rimprovero” da maestrine con la penna rossa di non aver capito le accuse dimostra ulteriormente che nel caso dell’inchiesta sulle presunte tangenti il problema è soprattutto politico e non certo giuridico. In realtà siamo ai limiti dell’insulto e pure della diffamazione. Poi l’ordinanza dei giudici arriva al ridicolo affermando: “Non si intravede, nemmeno in filigrana, l’indebita e inconcepibile – perché decisamente extra ordinem – pressione affinché, come adombrato dalla difesa, si decida a rinunciare all’incarico istituzionale del quale è tuttora insignito”. Insomma i giudici mettono le mani avanti per negare la funzione politica della magistratura che in questo paese dall’emergenza infinita dura ormai da mezzo secolo. È chiaro che se Toti dovesse dimettersi da presidente della giunta regionale tornerebbe immediatamente in libertà.
Il Riesame ricorda che il gip aveva autorizzato incontri di Toti con esponenti politici “trattandosi, benché ai domiciliari, di tracciare le linee strategiche di indirizzo della vita gestionale della Regione e non ravvisandosi alcun periculum cautelare da parte dell’odierno appellante. Insomma in parole molte povere il Tribunale del Riesame dice a Giovanni Toti “ma cosa vuoi? Ti abbiamo pure consentito l’attività politica!”. In realtà al presidente della Regione era stato dato il classico contentino poi strumentalizzato per continuare a tenerlo prigioniero sia pure in casa. Con il senno di poi forse Toti avrebbe fatto addirittura meglio a non chiedere quella autorizzazione che infatti adesso gli viene rivoltata contro. Toti è accusato in realtà di non aver negato i suoi comportamenti spiegando e rispondendo a tutte le domande l’irrilevanza penale. Parole che i procuratori, il giudice delle indagini preliminari e il Riesame considerano vere e proprie bestemmie con tanti saluti al diritto di difesa.