La condanna per razzismo

L’Italia discrimina e segrega le comunità rom e sinti: la sentenza del Consiglio d’Europa

La sentenza dal Consiglio d’Europa conferma le accuse di Amnesty: lo Stato italiano condannato per razzismo nei confronti delle comunità rom e sinti

Politica - di Martina Ucci

12 Luglio 2024 alle 17:30

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L’Italia discrimina e segrega le comunità rom e sinti: la sentenza del Consiglio d’Europa

Il razzismo in Italia è un fenomeno istituzionalizzato. Questo è quanto emerge dalla condanna dell’Italia da parte del Consiglio d’Europa per le sue politiche discriminatorie nei confronti delle comunità rom e sinti. In quanto parte della Comunità europea, il nostro Paese è tenuto a rispettare la Carta sociale europea, che, secondo la sentenza, l’Italia viola in maniera grave e sistematica.
La sentenza arriva dopo che nel 2019 Amnesty International, insieme ai dati e alle testimonianze fornite dall’Associazione 21 Luglio – ong italiana che si occupa della situazione abitativa dei rom – ha presentato una denuncia contro l’Italia per le discriminazioni e il trattamento discriminatorio subito dalle comunità rom sul territorio italiano.

Le politiche razziste riguardano tre aspetti della gestione delle persone rom: in primis l’ideazione e poi la messa in pratica di una forma abitativa segregante e monoetnica che nasce da un pregiudizio etnico già con le prime politiche statuali in Italia. «Affrontare la questione dei rom come una questione nomade è la prima discriminazione» ha commentato Ilaria Masinara, responsabile dell’Ufficio campagne di Amnesty International Italia. A questo si aggiunge il fatto che questi “campi rom” sono al di sotto degli standard minimi alloggiativi. Spesso non c’è accesso ai servizi igienici, non c’è acqua, elettricità e non c’è possibilità di movimento, elemento che ha un forte impatto su istruzione e percorsi lavorativi. Il secondo punto riguarda invece il meccanismo degli sgomberi, azioni spesso anche violente, che non vengono programmati o discussi con gli abitanti. E ai quali, quasi sempre, non seguono soluzioni abitative alternative e sostenibili. Il terzo elemento riguarda invece l’accesso diseguale gli alloggi di Edilizia residenziale pubblica, anche a causa di criteri discriminatori per l’assegnazione degli alloggi sociali.

Il diritto all’abitare, come forma necessaria per la dignità della persona, è prevista dall’articolo 31 della Carta sociale europea, nella quale si richiede agli Stati di proteggere le persone vulnerabili e di evitare che ci siano persone senza dimora, accompagnandole nel percorso di accesso alle abitazioni sociali. «Negli ultimi anni il trend è stato sicuramente positivo» ha commentato Carlo Stasolla, presidente dell’Associazione 21 Luglio. Dal 2016 ad oggi c’è stata una significativa diminuzione dei campi informali che sono passati dall’essere abitati da 10mila persone 8 anni fa a 2.500 grazie ad interventi per formalizzarli. Inoltre, sono stati avviati anche progetti di superamento dei campi, grazie a percorsi abitativi d’integrazione. Eppure, indipendentemente dai progressi degli ultimi anni, siamo ancora lontani dall’eliminazione totale di alcune situazioni critiche. «Secondo i nostri dati» – commenta Stasolla – «si registra ancora la presenza di 109 insediamenti informali abitati da 11.800 persone gestiti da istituzioni comunali con l’obiettivo di favorire un’accoglienza basata su criteri etnici».

Ad oggi, per quanto diminuiti, gli insediamenti informali rimangono luoghi pericolosi e instabili, in cui le persone vivono in condizioni abitative estreme e con il rischio costante di sgomberi forzati. Queste sono strutture che, come dichiara Carlo Stasolla, sono «al di sotto degli standard minimi fissati dalla normativa nazionale e internazionale». Strutture frutto di politiche segreganti e discriminatorie, di cui l’Associazione 21 luglio chiede il superamento. Un altro elemento che ha solo peggiorato la situazione, pur avendo nascendo dalla volontà di risolvere la condizione abitativa di migliaia di persone, è stata la creazione di soluzioni abitative che non si integrano con il resto della società e che quindi, portano nuovamente al segregazionismo. Sono ben 7 i Comuni italiani in cui sono stati costruiti dei veri e propri quartieri di aree residenziali destinati solamente a persone rom. Quella subita dalle comunità rom in Italia è una forma di razzismo istituzionalizzato che conseguenze importanti a livello socio-culturale con la creazione di narrative discriminatorie e penalizzanti, che sono il motore di una forma di razzismo e segregazione monoetnica che rendono quasi impossibili percorsi di integrazione.

12 Luglio 2024

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