Dalla marcia al calvario

Meloni ai margini dell’Europa vacilla tra alleati che la incalzano e la minaccia dei referendum

L’Ue la relega ai margini, la Francia le riserva amarezza, le comunali la puniscono: dalla marcia trionfale al calvario

Politica - di David Romoli

12 Luglio 2024 alle 15:30

Condividi l'articolo

Meloni ai margini dell’Europa vacilla tra alleati che la incalzano e la minaccia dei referendum

I tempi della politica moderna, in Italia ancor più che nel resto dei Paesi occidentali, procedono con una rapidità che sarebbe stata impensabile non molti anni fa. Due mesi fa, alla vigilia delle elezioni europee, Giorgia Meloni sembrava fortissima, neppure vagamente minacciata da un’opposizione divisa e in ginocchio. Nell’arco di poche settimane la premier ha subìto una serie di imprevisti rovesci, praticamente su tutti i fronti, tali da capovolgere il quadro. Non significa che il governo stia per cadere; nessuno tra i partiti di centrodestra ha interesse o convenienza nel minacciarne la stabilità. Ma da fortissima ed egemone la postazione della leader della destra italiana si è fatta traballante, debole e quasi priva di prospettive.

Le elezioni europee sono state una vittoria se si guarda alle percentuali, una sconfitta secca in termini politici. La leader di FdI aveva bisogno di un risultato plebiscitario che legittimasse il progetto di instaurare nei fatti prima ancora che con la riforma costituzionale una “repubblica del premier”. Il plebiscito, che si misura in termini di voti assoluti e non di percentuali, non c’è stato. FdI ha perso 700mila voti, il Pd ne ha guadagnati 250mila: pochi in sé, molti in termini di peso politico. Entrambi gli alleati sono usciti dalla prova vivi: Forza Italia se non proprio al galoppo almeno al trotto, la Lega al passo ma riuscendo a evitare il disastro annunciato. Nessuno dei due partiti, di conseguenza, è disposto ad affrontare la prossima fase con disposizione remissiva. La Lega è già partita con una guerriglia estenuante. Fi adotta una linea opposta, sfoggia massima responsabilità e moderazione.

Ma lo fa con la non riposta intenzione di recuperare il prima possibile la postazione centrale che aveva un tempo. Le elezioni francesi gli hanno hanno regalato armi e argomenti. Tajani può brandire la sconfitta della destra per sostenere che solo l’alleanza con i centristi salva le forze di destra dalla condanna all’isolamento. Nonostante lo scarto in termini di consenso può trattare con la potente alleata quasi da pari a pari. Le elezioni amministrative, invece, sono state una sconfitta secca da tutti i punti di vista. L’esito più pericoloso è la spinta fortissima che ha dato alla costituzione di un’opposizione largamente unitaria. Dopo mesi di chiacchiere a vuoto, il Campo Largo è nato in questi due mesi nei fatti, per decisione degli elettori italiani e, indirettamente, francesi. Le circostanze, poi, hanno offerto all’opposizione una strategia, quella dei referendum. Le prove sul Jobs Act e sull’autonomia differenziata, se i quesiti verranno ammessi, hanno poche chances di raggiungere il quorum ma terranno il Paese in una sorta di mobilitazione permanente in vista del referendum sul premierato, la vera prova finale per Giorgia Meloni, nel quale la partita è invece del tutto aperta.

Siccome in questi casi piove sempre sul bagnato si è consumata in queste settimane una rottura con il Quirinale, non dichiarata ma evidente, che la presidente del Consiglio aveva cercato invece di evitare. Non è questione di questa o quella decisione sgradita al Colle: come il presidente ha illustrato molto chiaramente nel suo ultimo intervento è l’intera visione del ruolo della maggioranza secondo Giorgia che il capo dello Stato ritiene inaccettabile. La mazzata economica almeno era prevista, ma ciò non la rende meno dura. Tra resurrezione di un Patto di Stabilità che il governo ha dovuto accettare obtorto collo e la procedura d’infrazione, Meloni dovrà governare senza il becco di un quattrino a disposizione. È sempre e per tutti i governi la situazione più scomoda e pericolosa, ma è anche quella che più di ogni altra esaspera le divisioni latenti in questa come in ogni maggioranza politica. Lo scacco più cocente è tuttavia quello europeo. Alla fine FdI voterà a favore di Ursula von der Leyen, salvo incidenti pur sempre possibili. Non farlo equivarrebbe a dichiarare fallimento. L’Italia otterrà il suo “commissario pesante”, probabilmente fornito di deleghe tali da non far perdere del tutto la faccia all’inquilina di palazzo Chigi.

Per Bruxelles sarebbe molto difficile muoversi diversamente, sia per il peso specifico che comunque vanta il terzo Paese dell’Unione per importanza, sia perché i Popolari danno le carte e non intendono rompere con l’intera destra europea. Ma la scommessa su uno spostamento a destra dell’asse europeo e del conseguente ruolo centrale che avrebbe assunto la leader dei Conservatori sembra essersi già risolta in un completo insuccesso. Peggio: l’oggettiva sinergia tra i pescecani dell’establishment e quelli sovranisti ha lasciato Giorgia fuori dalla porta del salotto buono ma anche isolata a destra. Ma conviene ripetere che tutto ciò non vuol affatto dire che Giorgia debba temere di essere mandata a casa prima del previsto. Almeno fino al referendum sul premierato ma probabilmente anche dopo proseguirà nel cammino sino alla conclusione della legislatura. Quel che in compenso ha tutte le ragioni di temere è che quel percorso si trasformi in un calvario.

12 Luglio 2024

Condividi l'articolo