Come stanno le cose
Morti sul lavoro, l’Inail non è responsabile ma Meloni sì
I giornali di destra, totalmente ignari delle cose di cui parlano, raccontano che l’Istituto trattiene in cassa 3,1 miliardi. Vero. Ma non li spende perché il governo li usa per far quadrare i conti
Editoriali - di Cesare Damiano
Il nodo è venuto al pettine. Dal 2020 al 2023 ho fatto parte del consiglio di Amministrazione dell’Inail, l’Istituto nazionale per l’Assicurazione contro gli infortuni sul lavoro. Per tutto il mio mandato di consigliere ho cercato, tra i tanti temi trattati, di affrontare insieme ai miei colleghi un nodo fondamentale che indebolisce la capacità dell’istituto di compiere appieno la sua stessa missione, ossia la prevenzione di malattie professionali e di infortuni sul lavoro e l’erogazione delle prestazioni assicurative in favore di chi li subisce. Tale nodo è il deposito multimiliardario, nel conto della tesoreria dello Stato, di una parte considerevole delle risorse dell’Istituto che vengono risparmiate, di bilancio in bilancio: la cifra, cumulata negli anni, supera ormai i 40 miliardi di euro. I quali non vengono utilizzati prevalentemente per svolgere i compiti di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro propri dell’Istituto, ma vengono soprattutto indirizzati, per scelta dei governi, per ridurre l’indebitamento dello Stato.
Con l’approvazione del bilancio consuntivo dell’Istituto per il 2023, è emerso che tale avanzo ha raggiunto livelli mai visti prima: 3,1 miliardi di euro in un solo anno. Insomma, i fondi dell’Inail tamponano i conti della Repubblica italiana. E tutto questo mentre i dati raccolti dall’Istituto stesso riportano, nei primi cinque mesi dell’anno, una crescita del 2,1% delle denunce di infortunio sul lavoro rispetto allo stesso periodo del 2023. Delle quali, quelle relative ai morti, che sono 369, sono aumentate del 3,1%: nell’incremento sono stati determinanti gli incidenti mortali plurimi registrati in questi ultimi mesi (Brandizzo, Firenze, Suviana e Casteldaccia). Nello stesso periodo le denunce per patologie professionali crescono del 24%. Tanto basterebbe per decidere un aumento di investimenti per la prevenzione anziché, di fronte ai morti e alle stragi, esprimere cordoglio, promettere nuove leggi – delle quali non c’è bisogno perché basterebbe applicare quelle esistenti – per poi far calare il silenzio in concomitanza con l’affievolirsi dell’interesse mediatico.
Torno, perciò, ad affermare quanto ho sostenuto in tutti questi anni: le disponibilità liquide depositate presso la tesoreria, che sono a rendimento “zero” per l’Istituto, rispondono a esigenze di finanziamento del fabbisogno dello Stato. I soldi, dunque, ci sono, ma i Ministeri vigilanti, in particolare il Mef, impediscono che vengano utilizzati in misura maggiore perché si tratta di risorse che fanno parte della contabilità generale dello Stato. In questo modo, non investendo maggiormente sulla prevenzione, è come se si imponesse una tassazione occulta alle imprese che pagano i premi assicurativi. Occorre pertanto rimuovere questo ostacolo dando autonomia di spesa, sostanziale e non solo formale, all’Inail. È necessario sottolineare che l’istituto, che è un ente pubblico non economico, non dovrebbe creare avanzi finanziari di queste dimensioni, dovendogli riconoscere autonomia gestionale, organizzativa e contabile, nel rispetto dei principi stabiliti dalla legge, il primo dei quali consiste proprio nel garantire l’equilibrio di bilancio.
Quindi, se si volesse mettere – così come è evidentemente necessario – l’Inail in condizione di esprimere tutte le sue potenzialità nello svolgimento della sua missione, andrebbero attuate modifiche normative per rendere disponibile una più ampia quota della liquidità da utilizzare, in primo luogo, per la prevenzione di incidenti, infortuni e malattie professionali. Riducendo l’importo dei versamenti alla tesoreria, pur garantendo ampiamente le cosiddette riserve tecniche, l’istituto potrebbe investire ulteriori risorse che concorrano ad abbattere l’invalicabile muro dei mille morti all’anno. Ci permettiamo, come al solito, di suggerire alcune soluzioni: aumentare innanzitutto gli organici, oggi sottodimensionati, a partire da coloro che operano nelle direzioni che curano il tema della prevenzione. Senza questo primo passo risulterebbe difficoltoso incrementare, ad esempio, l’investimento nei bandi. Bisognerebbe anche incrementare il sostegno finanziario alle imprese virtuose che certificano infortuni “zero”, alle quali vanno abbassati i premi. Investire maggiormente nelle risorse per i bandi Isi – incentivi a sostegno delle imprese – a fondo perduto per finanziare i piani di prevenzione e migliorare il rapporto tra stanziamenti e spesa effettiva.
Consolidare gli stanziamenti per la ricerca: penso per esempio agli ottimi risultati nel campo della ergonomia. Attuare una ricerca in grado di progettare e concepire, anche attraverso le convenzioni con gli ordini professionali (architetti e ingegneri), processi che tengano in considerazione la prevenzione dei rischi correlati al lavoro, in un’ottica multidisciplinare e integrata. Se «premessa di tutto è la sicurezza sul lavoro», come ha affermato tempo fa il presidente Mattarella, la tutela dell’integrità psico-fisica del lavoratore deve passare attraverso la progettazione di tecnologie che lo aiutino nei gesti (tecnologie assistive), riducendo il rischio di infortunio, e tecnologie che siano in grado di adattarsi al gesto lavorativo (tecnologie adattative). Penso alla progettazione e alla realizzazione di postazioni di lavoro più confortevoli, come le pedane auto-adattative che si alzano e si abbassano automaticamente a seconda delle caratteristiche fisiche di chi le utilizza o degli esoscheletri.
Così come penso alla progettazione di macchine i cui dispositivi di sicurezza non possano essere disattivati: strumenti che potrebbero evitare tragedie terribili come quella di Luana D’Orazio, uccisa da un orditoio privato di tali dispositivi. O, ancora, la digitalizzazione dei cantieri. Ossia, l’uso della digitalizzazione spinta e dell’intelligenza artificiale, non solo per l’aumento della produttività o per la sostituzione di manodopera, ma anche per garantire l’integrità psicofisica delle persone che lavorano. Tragedie come quella di Firenze potrebbero essere così scongiurate.
Inoltre, potrebbe essere fortemente rafforzato il finanziamento dei bandi Isi con i quali, attraverso contributi a fondo perduto, l’Inail incentiva le imprese a realizzare progetti per incrementare la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori. Altro punto da sottolineare è l’opportunità di rafforzare lo sconto sul premio assicurativo per le imprese virtuose. Con una maggiore disponibilità finanziaria, potrebbe essere allargato sia il finanziamento di tale azione sia la platea che ne beneficia. In sintesi: lo Stato non può far cassa sulla salute e la sicurezza dei lavoratori e, altrettanto, sui fondi versati obbligatoriamente dalle imprese a tale scopo.