Ieri, quando ancora non erano terminati i saluti di rito, la notizia che Mediterranea ha chiesto alla procura di Roma e a quella europea di incriminare il governo libico e la sedicente “guardia costiera libica” per “pirateria, tentato sequestro di persona, minacce, violenza privata aggravata”, è stata recapitata al Trans Mediterranean Migration forum, il vertice sull’immigrazione organizzato a Tripoli dal governo di unità nazionale libico. In realtà il nome pretenzioso del forum, nasconde una non meno pretenziosa richiesta di altri soldi all’Unione europea, in cambio della detenzione e del trattenimento di donne, uomini e bambini migranti, definiti “illegali” in questi consessi di onorevoli e specchiatissime persone, per lo più rappresentanti di paesi che la democrazia e la legalità nemmeno sanno cosa sia.
Già lo scorso 15 maggio a Bruxelles l’uomo dell’occidente in Libia, il precarissimo presidente Dabaiba, aveva concordato con Ursula von der Layen, sulla opportunità di organizzare il vertice, per fare un bilancio sui risultati ottenuti dai patti stabiliti. Meno migranti arrivati vivi sulle coste italiane, greche e spagnole, più soldi in arrivo. L’apertura di un procedimento penale contro i miliziani della cosiddetta “guardia costiera libica” per una serie di gravissimi reati compiuti in mare, a cento miglia dalle loro acque territoriali, durante la quotidiana caccia agli esseri umani che tentano di fuggire da una situazione disumana, ha un forte valore simbolico. I fatti che hanno portato il comandante, il capomissione e la responsabile del team medico di Mediterranea a chiedere alle procure di indagare, risalgono allo scorso 4 aprile. Al Ministro Piantedosi, che mentì spudoratamente davanti al Parlamento italiano nonostante i video provassero che la motovedetta Fezzan avesse condotto un vero e proprio assalto armato contro la nave di Mediterranea e contro i naufraghi che stava soccorrendo, devono essere fischiate le orecchie. Secondo la circostanziata denuncia di Mediterranea, le procure sono chiamate a verificare se si tratti di un vero e proprio “sistema criminale”, messo in piedi dai governi e in particolare dai ministri degli Interni italiano e dal suo omologo libico, il già noto Trebelsi, segnalato da anni come uno dei trafficanti di esseri umani che ha avuto successo, arrivando fino ad occupare un posto di primo piano al governo del suo disgraziato paese. Se fosse accertato dagli investigatori italiani ed europei, che i fondi e i mezzi – la Fezzan è una delle prime motovedette italiane “donate” alla Libia – elargiti a man bassa in nome della “lotta all’immigrazione irregolare” sono serviti ad alimentare il sistema delle catture in mare e delle conseguenti deportazioni di massa in un luogo non sicuro dei profughi, allora dovrà risponderne direttamente anche lui.
- Deserto del Sahara peggio del Mediterraneo: rotta pericolosa e trafficata, cimitero di migranti
- Papa Francesco abbraccia i migranti e si commuove: “Siamo tutti fratelli”
- Zona Sar, Libia e Tunisia a caccia di migranti col supporto dell’Italia: cosa racconta la sentenza sul caso Asso29
- Corpi smistati come pacchi da nascondere, il Presidente Mattarella faccia qualcosa
Ma qui siamo nel regno del paradosso: la lotta ai trafficanti di esseri umani che si fa facendo accordi con i trafficanti di esseri umani, la “guardia costiera” che spara sui naufraghi, l’approccio “non predatorio” – come dice Meloni – che ha come prede donne, uomini e bambini… Se Vannacci volesse davvero scrivere sul mondo alla rovescia, ne avrebbe di libri da fare. Dopo l’assalto della Fezzan, Piantedosi comunque non è rimasto fermo. Da un lato ha sanzionato la Mare Jonio, la nave di Mediterranea, dando un segnale ai libici di fedeltà agli accordi presi. In un sistema criminale, basato sulla violenza del respingimento forzato e di massa, delegato a milizie e polizie di paesi terzi e che ha come conseguenza ogni giorno detenzione, torture, schiavitù, stupri, nei confronti di persone innocenti, ci sta anche qualche sbavatura. Quell’assalto armato dei libici a una nave battente bandiera italiana lo è stata. Ma se Piantedosi non ha “mollato” i complici libici, dall’altro ha inviato il 24 aprile l’ambasciatore italiano a Tripoli, Nicola Orlando, che è anche ambasciatore Ue, a tirare le orecchie all’ammiraglio Reda Issa, capo della cosiddetta “guardia costiera”. Per un po’, infatti, le motovedette libiche si sono tenute distanti dai soccorsi delle navi della Civil fleet. Ma è durata poco. Pochi giorni fa nuovi violenti interventi di cattura e deportazione, anche in ragione di una pressione europea sui “risultati” da ottenere: meno gente, viva o morta che sia, che “disturbi” la nostra vista.
Il sistema è stato esportato, grazie al lavoro Meloni-von der Layen, anche in Tunisia. Il deserto in questa ultima versione della “lotta ai trafficanti”, sembra essere un elemento determinante. Nel deserto cominciano ad affiorare le fosse comuni, con centinaia di cadaveri di senza nome, immolati sul nuovo “altare della patria” italiano ed europeo. L’ultima scoperta è stata annunciata al confine tra Tunisia e Libia, e ne ha dato notizia Volker Turk, alto commissario Onu per i diritti umani. E proprio ieri, 17 luglio, è stato l’anniversario della morte di Fati e Marie, madre e figlia, deportate nel deserto e uccise di sete e di stenti. La loro storia la conosciamo grazie a Pato, marito e padre, che si è salvato, nonostante come dice lui «dentro sono anche morto». Al forum di certo non si parlerà né di questo, né della denuncia di Mediterranea. Contro quest’ultima, certo, sono già al lavoro gli agenti dei servizi che sulla Libia, e sul “dossier immigrazione”, hanno costruito non solo carriere personali, ma anche fortune non di poco conto. Quando si ha a che fare con un business che, tra legale ed illegale, tra guardie e ladri, muove centinaia di milioni di euro, le briciole cadono copiose per chi è accucciato sotto il tavolo. Al forum la presidente Meloni ha iniziato il suo discorso dicendo che «i migranti illegali sono i primi nemici di quelli legali». Qui c’è Freud più che Macchiavelli. “Nemici”. Alla fine i migranti sono i nemici. Più dei trafficanti, che siedono a quei vertici e sono “amici” quando svolgono con zelo il loro sporco lavoro ben pagato. Sono amici i dittatori, sono amici quelli che le fosse comuni le scavano per metterci dentro esseri umani. Sono amici i miliziani della Fezzan che sparano. I nemici quelli di Mediterranea, delle navi delle ong. I migranti “illegali”, chi li aiuta a sopravvivere. L’approccio «non predatorio» di cui parla Meloni forse è questo: scegliere prede e cacciatori e poi mettersi a guardare, aspettando che facciano tra loro.