La follia di Genova
La sinistra lincia Toti cantando De André: ma l’hanno mai ascoltato?
Non si era mai vista una manifestazione di piazza dell’opposizione contro un carcerato. Cantano De Andrè. Ma lo hanno mai ascoltato?
Giustizia - di Piero Sansonetti
Ieri l’opposizione è scesa in piazza, a Genova, contro un detenuto. Nella stessa giornata nella quale la Procura si è accanita proprio contro quel detenuto, spedendogli un nuovo ordine di cattura sempre per lo stesso reato: finanziamento del partito. Parliamo di Giovanni Toti. Avevamo rivolto un appello ai capi dell’opposizione perché desistessero. Non ci hanno ascoltato. Così per la prima volta, credo, almeno nel dopoguerra, vince l’idea maramalda del linciaggio come strumento politico.
La folla che si raduna perché vuole punire un prigioniero è esattamente la ripetizione del rito del linciaggio. Era molto diffuso negli Stati americani del Sud, in Alabama, in Mississippi, nell’Ottocento. Allora la vittima era quasi sempre un nero. Il linciaggio era la forma più degenerata di una idea marcia di democrazia e di populismo. Però era un’idea di democrazia. “Decide il popolo, Giudica il Popolo. È il popolo che punisce. Datelo a noi”. Oggi è così a Genova. Dicono i capi dell’opposizione: non sappiamo se è colpevole, non ci interessa la giustizia: ma va punito. Punito da noi. Scacciato. Indicato al ludibrio pubblico perché noi sappiamo che è salito sulla barca di un imprenditore.
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Ieri mattina il popolo anti-Toti si è riunito in piazza. Cantava una canzone bellissima di De André, l’ultima di un disco fantastico ribelle e assolutamente illegalista, “storia di un impiegato”, la quale è la condanna assoluta e totale delle prigioni e del giustizialismo. C’è un verso che dice: “Vagli a spiegare che è primavera, e poi lo sanno ma preferiscono vederla togliere a chi va in galera…”. E poi dice: “di respirare la stessa aria di un secondino non mi va…”. Ho pensato: poverelli. Cantano ma non sanno cosa cantano. Amano De André ma non sono in grado di ascoltarlo. De André è un poeta. Non è facile capire i poeti. Mi sono ricordato di un episodio meno poetico ma molto simile. Inverno 2002. Un giorno a Parigi viene arrestato Paolo Persichetti (con un trucco che serve ad aggirare la dottrina Mitterrand) e estradato in Italia; intanto viene scarcerato un vecchio collaborazionista, un certo Papon, novantenne. La sinistra, soprattutto la sinistra italiana, degli esuli, scende in piazza e forma un corteo. Grida: “Persichetti libero, Papon in galera”. Arriva in piazza. Parla Oreste Scalzone, mitico leader del Sessantotto romano.
Si rivolge alla piazza. Avverte: “dirò qualcosa che non vi piace”. Poi spiega: “io non sempre stato per l’abolizione delle carceri, non chiederò mai che qualcuno vada in galera. Persichetti libero e basta”. Inaspettatamente viene sommerso dagli applausi. Il corteo riparte. E cosa grida? “Persichetti libero e Papon in galera”. Le parole di Scalzone evaporate. Quando non capisci niente non c’è niente da fare: non capisci niente. E canti De André a un raduno di giustizialisti. De André: che chiese il perdono per i rapitori che lo avevano tenuto imprigionato per mesi nei boschi del Supramonte!