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Procura di Palermo, un nido di vipere non ancora stanate

strage di via d’amelio 5432477_large

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Sono passati trentadue anni da quella maledetta domenica. Erano le 16.59 del 19 luglio del 1992, a Palermo in via D’Amelio una 126 rossa esplose uccidendo il magistrato Paolo Borsellino e cinque uomini della sua scorta. Un massacro avvenuto 57 giorni dopo un’altra strage, quella di Capaci, dove persero la vita Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e altri tre poliziotti. Ma le domande ancora pendenti riguardano soprattutto l’omicidio di Paolo Borsellino. E non sono poche. Che fine ha fatto la sua agenda rossa? Perché la mafia ha deciso di ucciderlo a così poca distanza dal delitto Falcone? Il falso pentito Scarantino è frutto di un depistaggio o della sciatteria di molti investigatori e diversi magistrati? Durante la preparazione e l’esecuzione della strage di via D’Amelio erano presenti altri uomini al di fuori di quelli di Cosa Nostra? A cosa stava lavorando Borsellino dopo la dipartita di Giovanni Falcone?

Tutte domande ancora inevase, nonostante siano passati 11.680 giorni, molti processi, diversi scontri tra procure e veri o falsi pentiti. Tuttavia il quesito principale è sicuramente il seguente: perché nel 1992 la mafia corleonese – da sola o in concorso con altri – decise di uccidere in un così breve lasso di tempo prima Falcone e poi Borsellino? Le possibili risposte possono essere diverse, quelle più accreditate due. La prima è quella più venduta, conosciuta ed in alcuni casi urlata, secondo la quale la doppia strage del 1992 chiuse un periodo storico iniziato con l’eccidio di Portella della Ginestra del 1947 continuato con le bombe di Piazza Fontana, della Stazione di Bologna, dell’Italicus e di diversi altri attentati dinamitardi messi in campo dall’estremismo nero, dalla P2, dalla borghesia mafiosa e dai servizi segreti deviati, tutti uniti al fine di indirizzare la politica nazionale in momenti storici importanti. Secondo questa teoria, gli attentati a Falcone e Borsellino (e le bombe del 1993) servirono a orientare il passaggio dalla Prima alla seconda Repubblica ad appannaggio di una nuova forza politica che da lì a poco sarebbe nata (Forza Italia) a discapito della cosiddetta gioiosa macchina da guerra di Occhetto e della sinistra Dc. In poche parole le due stragi furono sì ordinate e realizzate dai corleonesi ma suggerite e pianificate da massoni, fascisti e da apparati dello Stato.

La seconda risposta è quella più silenziata, infatti solo negli ultimi anni ha avuto mediaticamente lo spazio che meritava. Ovviamente parliamo dell’informativa dei Ros del 1991 denominata giornalisticamente “mafia appalti”. Secondo questa tesi sia Falcone che Borsellino sarebbero stati uccisi perché gli unici a voler seriamente indagare su quanto segnalato dai carabinieri capitanati dal generale Mori e De Donno, ovvero che all’epoca esisteva una tangentopoli siciliana frutto di un patto a tre tra politica, imprenditoria del Nord e mafia. Molto simile a quella tangentopoli milanese che da lì a poco sarebbe stata scoperta in tutta la sua estensione dal Pool di Mani pulite. Infatti è storicamente accertato che oltre ai due magistrati siciliani doveva essere ucciso anche il Pm milanese Antonio Di Pietro. Secondo questa teoria, un ruolo centrale di disturbo verso le indagini di Falcone e di Borsellino lo avrebbe ricoperto l’allora Procuratore capo di Palermo, Pietro Giammanco, il quale, insieme ad altri magistrati, si sarebbe adoperato affinché l’informativa dei Ros non avesse seguito. Tant’è che per Borsellino quel Palazzo di giustizia era diventato “un nido di vipere”.

Se dovessi scegliere quali tra queste due teorie mi convince di più non avrei dubbi: la seconda. Soprattutto perché da Radicale condivido l’analisi sulla partitocrazia che tanto bene ha esposto l’avvocato della famiglia Borsellino, Fabio Trizzino, durante la sua audizione in commissione Antimafia e che risulta centrale nel dossier “mafia appalti”. Detto questo, ogni volta che sento parlare o leggo qualcosa sulle stragi di Capaci e via D’Amelio mi sembra che si trascuri qualcosa di importante, per me fondamentale: Totò Riina. La mafia corleonese è stata qualcosa di unico nel panorama criminale: dal 1979 al 1986 in Sicilia ci furono circa mille morti, 500 vittime per strada, altre 500 rapite e scomparse. Inoltre, mai nessun clan ha ammazzato tanti uomini dello Stato quanti ne ha fatti fuori u curtu: Scaglione, Giuliano, Terranova, Mattarella, Basile, La Torre, Dalla Chiesa, Chinnici, Cassarà e diversi altri. A dimostrazione che l’uccisione di Falcone e Borsellino non fu un’eccezione ma la regola. Trascurare il modus operandi corleonese è grave errore. Dalla strage di viale Lazio, avvenuta a Palermo il 10 dicembre 1969, in poi la crudeltà, la spietatezza e la disumanità corleonese diventò la regola in Sicilia.

Così come considero grave svista non tener minimamente in considerazione la seguente data: 30 gennaio 1992. Giornata memorabile per lotta alla mafia e orrenda per i corleonesi. Quel giovedì la Corte di Cassazione confermò le condanne del primo grado di giudizio del Maxi processo. La sentenza diventò definitiva. Per questo Totò Riina si senti tradito. Coloro che da Roma gli avevano promesso di aggiustare il processo in Cassazione non ci riuscirono. La furia corleonese riaffiorò, più forte che mai. Tanto è vero che il 12 marzo 1992 venne ucciso il referente della corrente andreottiana in Sicilia, il deputato Salvo Lima. Subito dopo ci furono le stragi di Capaci e via D’Amelio contro i due uomini che per quel Maxi Processo condussero l’istruttoria. Mai dimenticarlo.
Così come bisogna rammentare che il primo dei due eccidi avvenne mentre in Parlamento si votava per il nuovo presidente della Repubblica. Dopo la bomba di Capaci vinse Oscar Luigi Scalfaro a discapito, tra gli altri, di Giulio Andreotti. La foga nel trovare a tutti i costi uno o più mandanti esterni per l’uccisione di Falcone e Borsellino può far perdere di vista la storia di quegli anni ovvero la strategia terroristica dei corleonesi. Totò Riina conosceva un solo modo per comandare: uccidere tutti i suoi avversari. Così fece, fino alla sua cattura.