La storia

Giacomo, bambino di 2 anni recluso a Rebibbia con la mamma: “Dice solo ‘apri’ e ‘chiudi’, ha deficit motori”

Giustizia - di Redazione

21 Luglio 2024 alle 12:23 - Ultimo agg. 21 Luglio 2024 alle 14:30

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Giacomo, bambino di 2 anni recluso a Rebibbia con la mamma: “Dice solo ‘apri’ e ‘chiudi’, ha deficit motori”

Vive nel carcere di Rebibbia, a Roma, tra le sbarre della casa circondariale assieme alla madre nella sezione “nido”, mentre il padre è a sua volta al suo interno, ma in un’altra aula.

La volontaria dell’associazione “A Roma insieme-Leda Colombini” che ne parla oggi a Repubblica lo chiama Giacomo, un nome inventato per proteggerne l’identità: il bambino ha due anni ed è sovrappeso, ha deficit motori e di linguaggio, riuscendo a pronunciare un paio di parole come “si”, “no, “mamma” e “papà, porta ancora il pannolino.

Una situazione che racconta bene il dramma delle carceri italiane e che allarma ancor di più con lo scenario che si prospetta a breve: siamo infatti alla vigilia dell’esame in Parlamento del disegno di legge sicurezza che fa venir meno l’obbligo delle misure alternative per donne con figli minori di un anno.

Giacomo vive da ottobre 2023 tra le sbarre, quando la madre, una trentenne italiana che sta scontando una pena per reati minori, è finita in cella. Passa buona parte della sua giornata in cella assieme a lei, lì dove nessun bambino dovrebbe stare: le uniche ore di “libertà” sono quelle che ottiene proprio grazie alle volontarie dell’associazione “A Roma insieme-Leda Colombini”, che hanno dato alla direzione della struttura penitenziaria romana la disponibilità a portare il piccolo ad un nido esterno la mattina e a riportarlo in carcere nel pomeriggio.

Giacomo è l’unico bambino “recluso” a Rebibbia. La volontaria spiega a Repubblica i danni di una situazione simile su un bambino di soli due anni, che tre volte a settimana può uscire dalla casa circondariale: “Lui è contentissimo di andare al nido – dice – io entro con l’auto dentro il carcere, quando salgo a prenderlo lo trovo dietro il vetro di sicurezza con le sbarre che mi aspetta. Mi vede e gli si illumina il viso. Scendiamo insieme i 16 gradini che portano all’atrio e provo a fargli ripetere i numeri. Poi quando in auto aspettiamo che le guardie aprano il cancello, lui cominciare a dire: “Apri, apri, apri”. Giacomo, sei contento di andare a scuola? “Si”. “Di vedere la tua maestra?”Si”, “E i tuoi compagni? “Si”». Non dice altro ma fa dei gridolini indicando una moto, una bici, un parco, immagini estranee alla sua realtà quotidiana”.

Quando poi ci si avvicina al ritorno a Rebibbia, Giacomo riconosce le mura del carcere: “Allora dice sempre “mamma” – racconta ancora la volontaria – capisce che lo sto riportando da lei. E mi si stringe il cuore quando, dopo aver varcato il grande cancello di ferro con le sbarre, Giacomo dice ‘chiudi’. Sa che le guardie ce lo richiudono subito alle spalle”.

Una volta dentro, il bambino passa le giornate davanti alla tv e ai cartoni animati: la sezione “nido” del carcere ha anche un piccolo giardino con dei giochi, ma d’estate è pieno di zanzare. Anche l’alimentazione è un problema: Giacomo mangia quello che passa il carcere, oltre a quel poco che la madre riesce ad acquistare allo spaccio.

di: Redazione - 21 Luglio 2024

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