Giovanni Toti alla fine ha ceduto e, come succede quasi sempre ai sequestrati, ha deciso di pagare il riscatto. Era stato prelevato qua- si tre mesi fa da una gruppo di persone in divisa (mandanti un pm e una gip) e per il suo rilascio erano state chieste le sue di- missioni da presidente della Liguria e, di conseguenza, lo scioglimento del consiglio regionale. Toti, gliene rendiamo atto, ha resistito a lungo. I pm e altri giudici han- no fatto capire che loro non si sarebbero piegati, anche perché il loro potere – che va sotto la singolare dicitura di indipen- denza della magistratura – gli permette di non essere sottoposti a nessun controllo e a nessuna limitazione. Alla fine il presidente legittimo della regione Liguria ha dovuto arrendersi ai sequestratori. Ci troviamo di fronte a uno degli avveni- menti più nettamente eversivi della storia della Repubblica. In verità era già suc- cesso (con la Calabria, con l’Abruzzo…) però stavolta il braccio di ferro tra legalità (Toti) e illegalità (la magistratura) è stato evidentissimo. Pieno di simboli e di conse- guenze. Questo braccio di ferro ha messo la politica con le spalle al muro. La politi- ca aveva due scelte: quella di combattere e difendere la sua missione, cioè la democra- zia, oppure quella di accucciarsi e ricono- scere il diritto della magistratura di essere un potere sovraordinato rispetto a tutti gli altri poteri e totalmente incontrollato. Purtroppo la politica ha scelto la seconda via, e le conseguenze saranno durissime e di non breve durata.
La sinistra (con la nobile eccezione dei radicali) ha scelto la sottomissione perché ha pensato di potere ottenere un vantaggio dalla demolizione di Toti. Cioè ha immaginato che si possa ripe- tere quello che successe (a suo svantaggio) in Calabria e in Abruzzo, dove due governi regionali di sinistra, rovesciati dalla magi- stratura, passarono alla destra. In modo sta- bile. E con questo obiettivo è persino scesa in piazza, giorni fa, a sostegno dei Pm e contro il prigioniero. Chissà cosa avrebbe detto Terracini. Chissà se qualcuno di voi sa chi era Terracini. E chissà cosa avrebbe detto Cossiga… La destra, semplicemente, ha avuto paura. Ha pronunciato qualche parola a difesa di Toti, poco convinta, ha balbettato, ha ri- petuto la solita frase ipocrita sulla fiducia nella magistratura, ha avanzato qualche obiezione formale di fronte all’evidente il- legalità dell’azione della procura, e poi ha iniziato a fare pressione su Toti perché si dimettesse. Diciamola senza giri di parole: la magistra- tura ha stravinto questa battaglia. Appog- giata, come usanza, da un pezzo importan- te del sistema dell’informazione. La magistratura ha stravinto mentre con molta timidezza dalle parti del governo si sta discutendo di riforma della giustizia.
- Toti si dimette, Salvini e il suo partito lo hanno mollato: il governatore lascia per tornare libero
- Governo Meloni fuorilegge e bugiardo sulle carceri
- Nell’Italia della Meloni sarebbe sbattuto in carcere perfino Gandhi…
- Mattarella condanna la destra: ira del Presidente della Repubblica per lo stato delle carceri
È chiaro che la prova di forza data dalla pro- cura di Genova avrà una influenza notevo- le sul dibattito politico. L’arresto del tutto immotivato di Toti e la sua non liberazione suonano come un avvertimento a tutto il Parlamento. Le procure hanno dimostrato di avere lo scettro in mano. E di non teme- re una reazione politica perché consapevoli che la politica, tutta, ha un atteggiamento tremebondo e sottomesso. Proprio come successe nel ‘92 – ‘93, quando sotto i colpi del pool di Mani pulite e del pool dei gior- nalisti annessi alla procura di Milano, la politica si ritirò in buon ordine e votò leggi che hanno portato ferite incurabili allo Sta- to di diritto, come la cancellazione, di fat- to, del potere di amnistia del Parlamento, e la rinuncia all’immunità parlamentare con conseguente consegna mani e piedi legati all’arbitrio dei pm. Da allora quante volte la magistratura ha colpito al cuore esponenti politici o isti- tuzioni, abbattendole, sebbene poi la stra- grande maggioranza dei processi finì con le assoluzioni? La verità è che la riforma della giustizia di fatto – già da tempo operata da politi- ci e magistrati, e oggi blindata col caso Toti – non riguarda la giustizia ma il si- stema politico e costituzionale.
Col para- vento dell’indipendenza della magistratura – dogma per altro discutibilissimo in demo- crazia – si afferma una struttura del potere che pone la magistratura al vertice di tutto, e la democrazia – e persino il mercato – alle dipendenze del potere. A me se il mercato finisce agli ordini della magistratura può anche importare poco. Che la democra- zia sia sottomessa invece lo trovo un fat- to gravissimo. Il mercato dovrebbe essere regolato dalla politica, ma questo diventa impossibile perché la politica ha perduto la sua indipendenza. È la vera questione. la questione delle que- stioni. La perdita dell’autonomia da parte della politica. Il patto con la magistratura: tu comandi, tu controlli, tu decidi, ma lasci a noi l’amministrazione di una piccola par- te del potere. Le due grandi riforme delle quali stiamo discutendo sono solo una finzione. La separazione delle carriere non ci sarà mai. L’abolizione della carcerazione pre- ventiva non ci sarà mai. La responsabilità civile e penale dei magistrati non ci sarà mai. La fine dell’azione penale obbligatoria non ci sarà mai. Ci sarà il premierato? Può darsi. Ma non comporterà un grande stravolgimento del potere. Non ci sarà mai un vero pre- mier. I premier sono tanti: i procuratori.