Lo 'Sparviero'
Olimpiadi 2024 di Parigi, parla Patrizio Oliva: “Partecipare ai Giochi è motivo di orgoglio, i pugili italiani possono vincere l’oro”
Nato a Napoli, è stato uno dei pugili più rappresentativi di questo sport. È stato campione europeo, mondiale e - ovviamente - olimpico, conquistando la medaglia d'oro in occasione delle Olimpiadi di Mosca nel 1980. Con lui abbiamo discusso delle emozioni che un atleta prova nel partecipare ai Giochi, di cosa voglia dire affrontare questa sfida, delle prospettive dei pugili italiani impegnati in Francia e di qual è lo stato di salute della boxe italiana
Interviste - di Andrea Aversa
In attesa di vedere all’opera i pugili italiani impegnati alle Olimpiadi 2024 di Parigi, abbiamo avuto il piacere di intervistare Patrizio Oliva. Nato a Napoli nel 1959, Oliva è un simbolo della boxe italiana. È stato uno dei pugili più forti di sempre a livello mondiale. Campione europeo, mondiale ed olimpico, Oliva, detto lo ‘Sparviero‘ ha conquistato la medaglia d’oro ai Giochi Olimpici di Mosca nel 1980. Oliva in quell’occasione vinse contro l’atleta di casa, il russo Serik Konakbaev che l’anno prima gli aveva ingiustamente scippato il titolo europeo, a causa di un bislacco verdetto emesso dai giudici di gara. Quel primo posto nella capitale di quella che ancora si chiamava Unione Sovietica (Urss), valse allo Sparviero la Coppa Val Barker, prestigioso riconoscimento conferito al pugile ritenuto il più forte del mondo. In Italia l’hanno vinta in due, Nino Benvenuti e – appunto – Patrizio Oliva.
Olimpiadi 2024 di Parigi: parla Patrizio Oliva
Con quest’ultimo abbiamo parlato di cosa rappresenta un’Olimpiade per un atleta. Del significato che i Giochi Olimpici hanno per la carriera di uno sportivo. Gli abbiamo chiesto cosa pensa dei pugili italiani impegnati alle Olimpiadi 2024 di Parigi e quali sono i punti di forza, di debolezza e le prospettive della boxe italiana. Abbiamo discusso di quanto questo sport, definito da sempre un’arte nobile, sia oggi cambiato. Inevitabili i riferimenti alla sua vita privata e professionale, un’avventura vissuta fuori e dentro al ring, sempre con passione e determinazione. Quelle caratteristiche che rendono una persona un vincente.
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Intervista a Patrizio Oliva
Cosa vuol dire partecipare a un’Olimpiade?
“Già parteciparvi è un motivo d’orgoglio. Ogni atleta per andare ai Giochi deve superare delle prove, delle selezioni per qualificarsi all’Olimpiade. Quindi se ci arrivi già vuol dire che sei tra i più forti e meritevoli. Poi è ovvio che una volta che sei li vuoi anche vincere. Come diceva Pierre de Coubertin ‘l’importante non è vincere ma partecipare’, in realtà lui voleva affermare lo spirito sportivo e olimpico dichiarando che l’importante è partecipare perché solo così avrai la possibilità di vincere. Ed è questo l’obiettivo di uno sportivo, basta che lo scopo non venga raggiunto con ogni mezzo. Questo vorrebbe dire, ad esempio, con il doping o l’aiuto di metodi truffaldini e illegali che tradiscono tutto ciò che lo sport e l’Olimpiade rappresentano”.
Mosca 1980, cosa le viene in mente?
“Quando andai a Mosca ero già un pugile affermato, titolato e candidato alla vittoria. Ero tra i favoriti. Il destino volle che in finale dovetti affrontare il pugile di casa, il sovietico Serik Konakbaev. Una sfida difficile ma anche una grande rivincita per me. Infatti, l’anno prima, in occasione degli Europei disputati a Colonia, sfidai in finale proprio Konakbaev: dominai l’incontro ma un verdetto scandaloso dei giudici diede a lui la vittoria. Sconfiggerlo all’Olimpiade, in Russia, è stata una grande soddisfazione. E poi, oltre la medaglia d’oro, vinsi anche la Coppa Val Barker, un premio molto prestigioso conferito al miglior pugile dell’Olimpiade e quindi del mondo. In Italia l’abbiamo vinta solo io e Nino Benvenuti“.
Come se la caveranno i pugili italiani a Parigi?
“La Nazionale Italiana di pugilato è composta da otto pugili, cinque donne e tre uomini. Tutti hanno enormi possibilità di raggiungere il podio. In particolare, Abbes, Charaabi e Testa possono vincere la medaglia d’oro“.
Come è cambiato il pugilato?
“Da un punto di vista della preparazione e degli allenamenti, sono cambiate molte cose. Ovviamente, ci sono state tante evoluzioni basate su studi innovativi che hanno rinnovato e trasformato le varie modalità. Secondo me si è perso un pò di qualità da un punto di vista della tecnica. Ma in generale è ormai diverso il concetto di professionismo. C’è stata un pò di confusione, oggi alle Olimpiadi partecipano non solo i dilettanti ma anche i professionisti. Atleti allenati per combattere sui 12 round. Quindi può capitare che un giovane pugile, oltre a doversi allenare per combattere dai tre ai 12 round e viceversa, alle Olimpiadi può trovarsi di fronte un avversario molto forte, anche un campione del mondo. Non è proprio un criterio corretto. Alla fine il business ha vinto anche in questo caso“.
Qual è lo stato di salute del pugilato in Italia?
“Purtroppo abbiamo pagato e stiamo pagando un dazio lungo almeno 20 anni. Un periodo nel quale le politiche di gestione della disciplina sono andate in una sola direzione, quella rivolta al non professionismo. Questo ha causato anche una perdita di appeal, di pubblico e quindi di attrattività, anche per possibili investimenti. Si è puntato al dilettantismo anche perché, forse, dà più sicurezza ai ragazzi, agli atleti che preferiscono evitare il rischio del professionismo per garantirsi uno stipendio, una pensione. Decisione legittima, per carità e anche comprensibile. Io ho fatto una scelta di vita opposta, ero carabiniere ed ho mollato tutto per diventare un pugile professionista. Ho dato tutto ed ho avuto ragione, sono riuscito a raggiungere dei risultati importanti. Consiglierei ai giovani e a chi li segue e indirizza, di provare ad azzardare un pochino di più. Farebbe bene a loro e a tutto il movimento“.
Qual è stato l’avversario più temibile che ha affrontato sul ring e dal quale ha imparato di più?
“Qualsiasi avversario che incontri in una competizione come può essere un Europeo, un Mondiale o un’Olimpiade, è un avversario forte e difficile. Quindi sono loro gli atleti con i quali ho vissuto le mie più grandi esperienze. In termini di sfida e rivalità sportiva, non posso non citare, come ho detto prima, il russo Konakbaev, per ovvi motivi. Ma è doveroso ricordare anche l’argentino Ubaldo Sacco, una roccia. La finale per il Mondiale di Monaco del 1986 fu match durissimo e straordinario. Un incontro storico. Essere diventato Campione del Mondo battendo Sacco è stata per me una grande soddisfazione“.
Quando e perché Patrizio Oliva ha deciso di indossare i guantoni e di salire sul ring?
“Devo ringraziare mio fratello. Lui era un pugile, amava questo sport e mi ha trasmesso questa passione. È stato lui a portarmi in palestra. Da quando ho scoperto il pugilato, ho capito che non l’avrei mai lasciato che non avrei fatto altro. È stato un colpo di fulmine che dura ancora oggi“.
Le mancano mai quelle emozioni, quelle sensazioni o smettere è stato naturale?
“No, assolutamente. Non ho nessuna nostalgia. Se sei un vincente nello sport, lo sei sempre anche nella vita. Quindi capisci che la vita stessa ha le sue fasi e che ogni fine rappresenta un nuovo inizio. Basta esserne consapevoli. E poi io non ho mai abbandonato il pugilato, oggi continuo ad allenarmi e alleno le giovanili della Nazionale. Ad agosto ci aspettano gli Europei in Bosnia dove, nonostante un gap di 4-5 anni di esperienza, rispetto agli avversari, puntiamo a fare bene. Trasmettere tutte le mie conoscenze ai ragazzi è una cosa bellissima. Poi sono una persona poliedrica che non ama stare fermo e a cui piace fare nuove attività. Sono imprenditore e attore, sto portando in giro per i teatri il mio spettacolo, ‘Patrizio vs Oliva’, basato proprio sull’avventura che la mia vita ha rappresentato“.