L'ex numero uno dei procuratori
La caduta degli Dei: Giuseppe Pignatone indagato per favoreggiamento della mafia
Fioccano da Caltanissetta gli avvisi di garanzia per i magistrati famosi. L’aveva detto Borsellino: “La Procura di Palermo è un nido di vipere...”
Editoriali - di Piero Sansonetti
Fa impressione – no? – leggere che il Procuratore che avviò l’indagine (senza successo) chiamata “Mafia Capitale” ora si trova addosso un avviso di garanzia nel quale si ipotizza il reato di favoreggiamento della mafia. Parliamo di Giuseppe Pignatone, che è stato il numero uno per molti anni tra i Procuratori italiani, e che ora, in pensione, continua a fare il capo della magistratura in Vaticano. Non è uno qualunque. È l’uomo di fronte al quale addirittura si spegnavano i Trojan sui cellulari di Palamara, installati per non perdere un solo minuto delle sue conversazioni. E parliamo di un’inchiesta clamorosa, quella avviata dalla Procura di Caltanissetta e che punta a fare luce su uno degli episodi più oscuri della vita pubblica siciliana. E cioè gli strani movimenti che poi portarono dell’insabbiamento del dossier Mafia-Appalti, opera ultima di Giovanni Falcone, che sarebbe dovuto passare a Borsellino (il quale credeva molto in questa indagine) ma invece scomparve misteriosamente, sia per la morte di Borsellino, sia per la decisione della Procura di Palermo di archiviarla. Oggi, finalmente, molti pensano che il motivo principale della morte di Borsellino fu proprio la sua ostinazione a voler mettere le mani su quel dossier.
Tra qualche riga torniamo su quell’inchiesta, perché è la chiave per capire moltissime cose della storia della mafia e anche dei torbidi rapporti con settori piccoli ma potenti della magistratura.
L’avviso di garanzia a Pignatone è stato recapitato ragionevolmente qualche giorno fa. C’è chi dice il 19 luglio, cioè proprio il giorno dell’anniversario dell’uccisione di Paolo Borsellino. Si è saputo solo ieri perché ieri Pignatone si è presentato alla procura di Caltanissetta per farsi interrogare. E i giornalisti lo hanno riconosciuto. Fino a quel momento il segreto aveva retto. E non sappiamo se regge ancora il segreto per altri eventuali indagati. Le cose vanno così, in Italia. L’avviso di garanzia, che la legge prevede sia consegnato in modo riservato agli imputati, in genere viene recapitato prima ai giornalisti e poi all’indiziato. Per fortuna esistono le eccezioni. Come questa.
Pignatone – che ieri si è avvalso della facoltà di non rispondere – era un sostituto procuratore a Palermo negli anni di fuoco. Fine anni ‘80 e anni 90. Era piuttosto legato al Procuratore Giammanco. Non era molto amato da Falcone – che detestava Giammanco – il quale scrisse di lui cose non carine nel suo diario. Comunque Pignatone ebbe un ruolo importante nelle indagini sui rapporti tra Raul Gardini e alcuni esponenti in vista della mafia. Le indagini partirono da Massa, nel 1991, ma parallelamente anche da Palermo dove indagavano – come abbiamo detto – i Ros del generale (all’epoca colonnello) Mori su impulso di Falcone. Gli avvisi di garanzia (prima che a Pignatone ne era stato consegnato uno all’altro sostituto Procuratore, Natoli) riguardano il filone delle indagini partite da Massa e abortite in pochi mesi a Palermo.
Parente stretto di quelle indagini era il dossier Mafia-Appalti del generale Mori. Il dossier era anche quello nelle mani di Pignatone, coadiuvato da due sostituti più giovani: Scarpinato e Lo Forte. Borsellino aveva spinto perché fosse assegnato a lui. Ci fu una riunione di magistrati il 14 luglio del 1992 nel quale Borsellino insistette. Gli dissero che su quel dossier si sarebbe fatta una rione aspecifica la settimana successiva. Per Borsellino non ci fu settimana successiva, perché lo uccisero il 19 luglio. Per il dossier neanche ci fu settimana successiva: Pignatone non firmò la richiesta di archiviazione, che fu firmata solo da Scarpinato e Lo Forte pochi giorni dopo la morte di Borsellino, controfirmata dal Procuratore Giammanco, e accolta appena 25 giorni dopo, il 14 agosto, dal tribunale. Poi dicono che in Italia le procedure giudiziarie sono lente: quella volta l’archiviazione arrivò come un lampo.
Da allora, silenzio per anni. Mori, colpevole di avere lavorato a quel filone di indagini, finì sotto tiro della stessa magistratura, che si inventò la pista dell’inchiesta Stato-Mafia probabilmente proprio per evitare che si facesse strada la tesi secondo la quale Borsellino fosse stato ucciso per seppellire l’indagine di Mori. Il quale Mori finì a dover affrontare processi per anni e anni, accusato dei reati più orrendi (lui che aveva condotto la cattura di Totò Riina, cioè del capo di Cosa Nostra), e poi, solo recentemente, del tutto assolto. L’inchiesta di Caltanissetta riparte da lì. E dalle frasi sconvolgenti che la moglie di Borsellino riferì, e che erano state pronunciate da Borsellino: “Nella Procura di Palermo c’è un nido di vipere”, “Non mi ucciderà la mafia, ad uccidermi saranno i miei colleghi ed altri”. Finora nessuno aveva voluto indagare su queste frasi. E Finora i magistrati palermitani erano sempre stati considerati Dei. Ma lo sapete anche voi, prima o poi viene il giorno della Caduta degli Dei.