Attentati mirati: dal 1956 ad oggi

Storia degli omicidi di Israele: da Mustafa Hafez a Ismail Haniyeh oltre 2 mila uccisioni mirate

L’eliminazione di Ismail Haniyeh rientra in un modus operandi che lo stato sionista utilizza da decenni: uccisioni mirate di personaggi “chiave” tra i nemici, senza curarsi delle conseguenze

Editoriali - di David Romoli

1 Agosto 2024 alle 15:30

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Storia degli omicidi di Israele: da Mustafa Hafez a Ismail Haniyeh oltre 2 mila uccisioni mirate

La pratica degli omicidi mirati è antica quasi quanto lo stato d’Israele, anche se solo in questo secolo gli attacchi hanno iniziato a essere spesso, ma non sempre, apertamente rivendicati. Secondo Ronen Bergman, autore di Uccidi per primo. La storia degli omicidi mirati di Israele, potrebbero essere circa 2.300: cifra forse esagerata ma che rende comunque l’idea di cosa sia stata e sia la “guerra segreta” di Israele. Il primo bersaglio, ucciso da un pacco bomba il 13 luglio 1956 nella striscia di Gaza, fu Mustafa Hafez, colonnello dell’esercito egiziano, incaricato di reclutare profughi palestinesi per attacchi contro lo Stato ebraico. Il giorno dopo, ad Amman, un altro pacco esplosivo colpì l’attaché militare egiziano, Salah Mustafa, che svolgeva lo stesso compito di Hafez. A organizzare gli attentati non fu il Mossad ma Aman, l’intelligence dell’esercito.

Nel 1962 fu invece il Mossad a gestire l’ “operazione Damocle”, che prendeva di mira scienziati e tecnici tedeschi, per lo più ex nazisti, che collaboravano allo sviluppo del sistema missilistico egiziano. Nell’operazione fu rapito, l’11 settembre 1962, lo scienziato Heinz Krug. Il suo corpo non è mai stato ritrovato ma si ritiene che sia stato ucciso in Israele dopo essere stato interrogato. Un paio di mesi dopo, il 28 novembre, una lettera esplosiva uccise 5 operai egiziani che lavorano nella postazione segreta Factory 333, a Helwan, dove venivano costruiti i missili. Altri scienziati furono minacciati o subirono attentati prima che Ben Gurion, primo ministro di Israele, ordinasse al Mossad di interrompere l’operazione per la quale il servizio segreto israeliano si era avvalso del più improbabile tra i collaboratori: Otto Skorzeny, l’ufficiale delle SS che si era preso (ingiustamente) il merito della liberazione di Mussolini e aveva organizzato, in questo caso realmente, il golpe a Budapest. Skorzeny era uno dei principali nazisti fuggiti dopo la caduta di Berlino. In cambio del suo aiuto non chiese soldi, ma la cancellazione del suo nome dalla lista dei nazisti ricercati da Simon Wiesenthal.

Il primo omicidio mirato di un palestinese risale all’8 luglio 1972. Ghassan Kanafani era forse il principale scrittore e poeta palestinese. Era anche un dirigente del Fronte popolare per la liberazione della Palestina, l’organizzazione marxista dell’Olp, e in questa veste aveva rivendicato l’attentato all’aeroporto di Lod del 30 maggio dello stesso anno. Tre militanti giapponesi dell’Armata rossa avevano aperto il fuoco uccidendo 26 persone. Kanafani si era fatto fotografare con loro alla vigilia dell’attacco. Fu ucciso con un pacco bomba e due settimane dopo un libro imbottito di esplosivo avrebbe dovuto uccidere il suo braccio destro, Abu Sharif. Il palestinese perse quattro dita, l’udito da un orecchio e un occhio, ma sopravvisse. Con l’israeliano Uzi Manhaimi, ex agente del Mossad, ha scritto nel 1996 un libro tradotto anche in italiano, Il mio miglior nemico, ed è comparso spesso sulla stampa italiana, ed è persino stato audito dalla commissione Moro, per le sue rivelazioni sul “lodo Moro”.

La successiva operazione Ira di Dio mirava a colpire gli autori della strage alle olimpiadi di Monaco in cui furono uccisi, anche per l’imperizia delle teste di cuoio tedesche, 11 atleti israeliani presi in ostaggio. È quella raccontata da Spielberg nel film Munich, ed è forse la più famosa azione del Mossad, anche se non la più brillante. Tra l’ottobre del 1972 e il giugno 1973 furono uccisi in diverse città europee o mediorientali 9 palestinesi, certamente non tutti coinvolti nella strage e nessuno dei quali parte del commando che aveva eseguito la strage. La sigla Settembre nero era una copertura dietro la quale si celava la stessa al-Fatah, la principale organizzazione dell’Olp, quella di Yasser Arafat. A pianificare lo spettacolare attacco erano stati Abu Dawud, che sostenne decenni dopo che nessuno dei veri responsabili era stato ucciso, e uno dei leader più vicini ad Arafat, Abou Iyad, che fu ucciso in un attentato nel 1991 dal gruppo dissidente palestinese guidato da Abu Nidal. L’azione più spericolata nell’operazione Ira di Dio fu l’uccisione a Beirut, nel cuore dell’enclave palestinese in Libano di tre dirigenti dell’Olp da parte di una squadra dell’esercito israelinao guidata dal futuro premier Ehud Barak (travestito da donna) nella notte tra il 9 e il 10 aprile 1973.

Il principale nome nella “lista di Golda”, quella dei dirigenti palestinesi da eliminare per rappresaglia dopo Monaco, sfuggì all’attentato che doveva ucciderlo nel luglio dello stesso anno. Al posto di Ali Hassan Salameh, “il principe rosso”, creatore e capo di Forza 17, la guardia personale di Arafat, morì un innocente cameriere marocchino, colpito a Lillehammer, in Norvegia, perché scambiato per Salameh. Lo scandalo fu enorme: sei dei 15 agenti del Mossad che avevano preso parte all’azione furono arrestati e processati. Il danno d’immagine per Israele fu rilevante e Salameh sopravvisse fino al 22 gennaio 1979, quando un autobomba dilaniò a Beirut il “principe rosso”, quattro uomini della sua guardia del corpo ma anche altrettanti passanti. Meno di un anno prima, a Berlino est, il Mossad aveva ucciso l’ex capo militare del Fplp, Wadie Haddad, il regista dei grandi dirottamenti e dei principali attentati degli anni ‘70, con cioccolatini avvelenati ad azione lenta. Gli attentati mirati proseguirono negli anni ‘80 e ‘90. La vittima più eccellente fu il braccio destro di Arafat, Abu Jihad, ucciso da una squadra di commandos dell’esercito a Tunisi nell’aprile 1988. Gli attentati mirati, alla fine del secolo, prendevano però di mira sempre più spesso militanti e dirigenti delle nuove formazioni palestinesi emergenti, Hamas e la Jihad islamica.

La seconda Intifada, all’inizio degli anni 2000, ha segnato anche da questo punto di vista una svolta tragica. Per la prima volta, a partire dal 2001, Israele ha iniziato a rivendicare apertamente gli omicidi mirati. Agli attentati suicidi adottati da Hamas, ma poi anche dalla stessa Fatah, Israele ha reagito cercando di uccidere i nemici, e spesso riuscendoci, ovunque, senza curarsi troppo delle vittime innocenti. A colpire è stato sempre più spesso l’esercito invece del Mossad e dello Shin Bet, i servizi segreti estero e interno. Tra il 2002 e il 2008 almeno 357 palestinesi sono stati uccisi con omicidi mirati: 234 erano effettivamente un obiettivo, mentre gli altri effetti collaterali. Nel marzo 2004 un missile uccise il capo spirituale di Hamas, Ahmed Yassin, “lo sceicco cieco”, con due guardie del corpo e 7 passanti all’uscita di una moschea a Gaza. Il mese dopo il suo successore, Abdel al-Rantissi, fu colpito a morte sempre a Gaza, con il figlio e una guardia del corpo, da un missile lanciato da un elicottero dell’Idf, le forze armate israeliane.

Nel 2014 un raid mirato nella striscia uccise 9 dirigenti di Hamas e della Jihad islamica. Tra i bersagli doveva esserci anche Mohammed Sinwar, oggi capo militare di Hamas e regista del massacro del 7 ottobre, l’unico sopravvissuto. In seguito alla tregua firmata allora con Hamas, Israele si impegnò a interrompere la catena di omicidi mirati. Negli anni successivi gli attacchi si erano in effetti diradati, colpendo soprattutto Hezbollah in Libano, la Jihad islamica e militanti o scienziati coinvolti in ricerche o progetti militari. Ma dopo l’attacco del 7 ottobre. Israele ha colpito ovunque: a Gaza, in Libano, in Siria. E ieri a Teheran.

1 Agosto 2024

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