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Cosa rischia Pignatone e perché è accusato di favoreggiamento della mafia

Cosa rischia Pignatone e perché è accusato di favoreggiamento della mafia

E se fosse stato proprio Giuseppe Pignatone ad apporre a penna la dicitura “e la distruzione dei brogliacci” sul provvedimento con cui il collega Gioacchino Natoli il 25 giugno del 1992 aveva disposto la smagnetizzazione delle bobine delle intercettazioni telefoniche effettuate confronti dei fratelli Nino e Salvatore Buscemi? La Procura nissena, che ha iscritto l’attuale presidente del Tribunale vaticano con l’accusa di favoreggiamento alla mafia, ne è convinta ed ha incaricato il Ris dei carabinieri di Messina di disporre una perizia grafologica. Pignatone, convocato a Caltanissetta questa settimana per essere sentito, si è avvalso della facoltà di non rispondere, salvo dichiarare ai giornali di essere innocente.

L’ex procuratore di Roma, insieme all’allora procuratore di Palermo Pietro Giammanco, avrebbe istigato Natoli a non svolgere accertamenti sull’indagine che era stata avviata dalla Procura di Massa Carrara, e poi confluita nel procedimento mafia-appalti, per favorire esponenti mafiosi come l’imprenditore palermitano Antonino Bonura. Natoli e l’allora capitano della Guardia di Finanza, adesso generale di corpo d’armata, Stefano Screpanti, sarebbero stati gli esecutori di tale disegno criminoso finalizzato quindi ad aiutare i Buscemi, Bonura, l’imprenditore e politico Ernesto Di Fresco e gli imprenditori Raul Gardini, Lorenzo Panzavolta e Giovanni Bini (gli ultimi tre al vertice del Gruppo Ferruzzi) ad eludere le indagini a loro carico.

A Natoli, in particolare, viene contestato di aver svolto una “indagine apparente”, richiedendo “l’autorizzazione a disporre attività di intercettazione telefonica per un brevissimo lasso temporale (inferiore ai 40 giorni per la quasi totalità dei target) e solo per una parte delle utenze da sottoporre necessariamente a captazione, per assicurare un sufficiente livello di efficienza delle indagini”. Natoli a tal fine avrebbe anche disposto, d’intesa sempre con Screpanti che provvedeva in tal senso, “che non venissero trascritte conversazioni particolarmente rilevanti, da considerarsi vere e proprie autonome notizie di reato, dalle quali emergeva la “messa a disposizione” di Di Fresco in favore di Bonura, nonché una concreta ipotesi di “aggiustamento”, mediante interessamento del Di Fresco stesso, del processo pendente innanzi alla Corte d’Assise di Appello di Palermo, sempre a carico di Bonura per un duplice omicidio”.

Il procedimento in questione venne archiviato il primo giugno del 1992 “senza curarsi di effettuare ulteriori approfondimenti e senza acquisire il materiale concernente le indagini effettuate dalla Procura della Repubblica di Massa Carrara”. Per occultare ogni traccia del rilevante esito delle intercettazioni telefoniche, si legge sempre nell’imputazione firmata dal procuratore Salvatore De Luca, dall’aggiunto Pasquale Pacifico e dai pm Davide Spina e Claudia Pasciuti, sarebbe quindi stata disposta la smagnetizzazione delle bobine e la distruzione dei brogliacci. Per uno strano scherzo del destino, le bobine non furono invece mai smagnetizzate, rimanendo per tutti questi anni nell’archivio del palazzo di giustizia di Palermo prima che fossero trovate dai pm Caltanissetta. Discorso diverso per i brogliacci di cui si sono perse le tracce. Natoli ha sempre affermato che la smagnetizzazione delle bobine era una “prassi adottata dal procuratore di Palermo” dettata sia dalla necessità di riutilizzare le bobine smagnetizzate per la nota carenza di fondi ministeriali fortemente presente in quel periodo, sia per la mancanza di spazi fisici per la conservazione dei nastri e che comunque non era stato lui ad apporre l’indicazione della distruzione dei brogliacci.

Sul punto è interessante rileggere la deposizione di Pignatone al Consiglio superiore della magistratura il 30 luglio 1992, quindi dopo l’uccisione di Borsellino e dopo il provvedimento di distruzione in questione. Pignatone venne audito per le polemiche insorte in Procura che portarono poi al trasferimento di Giammanco. Nella lunghissima deposizione, Pignatone parlò anche di altro, ad esempio dell’indagine mafia e appalti della quale si era occupato come pubblico ministero titolare fin dall’inizio, e quindi dal 17 settembre 1989. Raccontò che erano state emesse “6 o 7 e successivamente altre due ordinanze cautelari” contro Angelo Siino ed altri che furono rinviati a giudizio. Da novembre del 1991 in poi, “nell’ambito di una ridivisione di una serie di processi”, Giammanco avrebbe però deciso “una ridivisione di questi processi”. Il troncone Siino venne assegnato a Guido Lo Forte e Roberto Scarpinato che scrissero e depositarono la richiesta di archiviazione di tutte le altre posizioni che non erano state ritenute meritevoli di ordinanza di custodia cautelare. Pignatone al Csm non raccontò però quali erano i processi oggetto di questa “ridivisione” e, soprattutto, i motivi che avevano spinto Giammanco a tale decisione.