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Stragi di Stato, ci fu anche un terrorismo centrista: la vera storia degli Anni di Piombo

Stragi di Stato, ci fu anche un terrorismo centrista: la vera storia degli Anni di Piombo

Si chiamano “anni di piombo per via di un bellissimo film di Margarethe Von Trotta ispirato alla storia della Baader Meinhof, gruppo tedesco di lotta armata. Il film però è stato girato nel 1981. Gli anni di piombo non finiscono lì. Vanno dalla fine degli anni 60 fino a metà degli anni ottanta, e in quel periodo la lotta politica fu molto accesa e si svolse anche con le armi. In modo del tutto particolare, per quel che riguarda l’Occidente, in Italia (e nei paesi governati da un regime fascista: Spagna, Portogallo e Grecia). In Italia ci furono quasi 500 morti. In situazioni diverse. In parte negli scontri di piazza, in parte nelle azioni terroriste. Ci furono tre tipi di terrorismo. Ben distinti. Sia nel modo di eseguire le azioni armate, sia nei disegni politici. Il terrorismo rosso, il terrorismo nero e il terrorismo di stato.

Per la verità il terrorismo nero fu il meno rilevante. Nacque quasi per spirito di emulazione verso la lotta armata condotta dalla sinistra e non ebbe gran peso nella battaglia politica. Raggruppò solo poche decine di militanti. Però seminò molti lutti. Il principale gruppo del terrorismo nero furono i Nar, guidati da Valerio Fioravanti e da Francesca Mambro. Uccisero, in singoli attentati, qualche decina di persone. Il terrorismo rosso ebbe un enorme peso, condizionando molte scelte politiche (ma di questo aspetto, più dettagliatamente, scriverò in un prossimo articolo). Il terrorismo di stato fu un terrorismo stragista, realizzato con la dinamite e le bombe, fu messo in pratica dai servizi segreti italiani (probabilmente con la collaborazione di servizi segreti stranieri, probabilmente americani) ed ebbe sempre un peso notevole nelle scelte del potere. Da anni si immagina che il terrorismo rosso fosse infiltrato dai regimi dell’est filosovietico. Ma mai è emerso neppure un indizio in questo senso. Del resto il terrorismo rosso fu l’unico che si espanse sulla base di una forte partecipazione di massa. E agì sempre a viso aperto e rivendicando tutte le proprie azioni, comprese le più odiose (come l’esecuzione dopo diverse settimane di prigionia del fratello di un ex brigatista che aveva tradito).

Probabilmente tra regolari, irregolari e fiancheggiatori ci sono almeno 10mila persone che in qualche modo furono coinvolte, in quegli anni, nella lotta armata di sinistra. Riunite, o comunque in qualche modo vicine, alle due organizzazioni più forti, Brigate rosse e Prima linea. Alle quali si affiancarono un discreto numero di organizzazioni minori sparse nel territorio, e molto agguerrite. Come i Nap, che gravitavano tra Napoli e Roma e che furono in breve tempo sbaragliati dallo stato, soprattutto dopo l’uccisione del loro capo Antonio Lo Muscio. O come il piccolo gruppo milanese che assassinò Walter Tobagi, giovane giornalista di idee socialiste che era diventato una delle più prestigiose firme del Corriere della Sera. Il terrorismo rosso fu un fenomeno politico molto complesso, in parte figlio del movimento di rivolta del 1968, con una base politico-teorica abbastanza forte e sostanzialmente stalinista, capace di utilizzare a suo favore il movimento di massa, soprattutto giovanile ma anche operaio, che tra il 1968 e il 1980 dispiegò la sua forza alla sinistra e in contrapposizione con il Partito comunista.

In realtà il terrorismo rosso nacque in parte dalla spinta rivoluzionaria del ‘68, in parte da un riflesso di autodifesa dopo la scesa in campo del terrorismo di stato. Le Brigate rosse, figlie di un collettivo estremista milanese (il cui leader era Renato Curcio), iniziarono la loro attività dopo la strage di piazza Fontana (12 dicembre 1969) e dopo il tentativo dello stato di attribuirla agli anarchici, con la defenestrazione e l’omicidio di Pino Pinelli (15 dicembre 1969) gettato dalla finestra del terzo piano della Questura di Milano (delitto restato impunito). Ed è proprio la strage di piazza Fontana l’origine di tutto. Fu organizzata dai servizi segreti e con ogni probabilità eseguita con la collaborazione di alcuni personaggi del fascismo estremo (non del Msi e neppure di Avanguardia nazionale). Fu definita quasi subito “strage di stato”, non appena il tentativo di incolpare gli anarchici fu sventato, grazie anche all’impegno di molti intellettuali liberali. Ora, riflettiamo un momento su cosa vuol dire “di stato”. Non è una formula: è il risultato di un’analisi.

La strage rientrava nella ampia strategia, detta “strategia della tensione”, organizzata da pezzi dello stato e dell’establishment per consolidare il potere di fronte all’attacco robustissimo che era stato mosso prima dal movimento del ‘68 e poi dall’autunno operaio del ‘69. La strage avvenne pochi giorni dopo la più grande manifestazione di operai metalmeccanici mai tenuta nel dopoguerra. A Roma, nei primi giorni di dicembre, col comizio finale di Bruno Trentin, Giorgio Benvenuto e Luigi Macario. Quella manifestazione, giunta al culmine di centinaia di episodi di lotta che avevano avuto come protagonisti i giovani della nuova classe operaia del nord, in gran parte composta da figli di immigrati del sud, diede una spallata fenomenale alla resistenza padronale, e ottenne un rinnovo contrattuale molto vantaggioso per gli operai, che ruppe il dominio e il clima di sopraffazione che si viveva dagli anni ‘50 nelle fabbriche. La borghesia italiana era impaurita. Lo statuto dei Lavoratori era in dirittura d’arrivo. I rapporti di forza tra potere e movimento operaio si stavano modificando. Fu allora che un settore ampio della borghesia e dello stato decise per la reazione violenta e terroristica. Per fermare il movimento operaio. E il Pci. E i sindacati. Qual era il riferimento politico di quel pezzo di borghesia che si mise alla testa della strategia della tensione e della teoria degli opposti estremismi?

Possiamo fare gli ipocriti quanto vogliamo. Possiamo raccontare storie. Possiamo usare il drappo dell’antifascismo per risolvere la questione senza imbarazzi. Ma la verità è cristallina. Il riferimento politico era la Democrazia cristiana. Il Partito-Stato. Era stata la Dc a disegnare la strategia della tensione. Fu la Dc a guidarla e a coprirla. Fu la Dc ad ottenerne i vantaggi. Da quel momento – fine 1969 – si apre una lotta feroce tra i settori reazionari della borghesia, che volevano la svolta a destra, e uno schieramento di sinistra (anche borghese) che voleva portare il Pci al governo. Nello schieramento di sinistra c’erano anche settori democristiani, ma il grosso della Dc era dall’altra parte. Le Brigate rosse e i militanti della lotta armata di sinistra parteciparono a questa battaglia. Con un ruolo importante. E credo anche molto complesso. Proverò in un prossimo articolo a spiegarlo. Oggi però vorrei dire con chiarezza questo: nel terrorismo di stato la responsabilità principale è quella della Dc. C’è qualcuno che ha il coraggio di dirla questa evidente verità? C’è, a destra o a sinistra? Oppure pensate che sia meglio spargere un po’ di retorica antifascista per coprire le responsabilità storiche?