Il caso a Catanzaro

Il dramma di Francesco Mario: con un arto amputato sbattuto in cella senza cure mediche

L’area sanitaria del carcere di Catanzaro non risponde ai solleciti della magistratura di sorveglianza per l’individuazione di una struttura sanitaria adeguata alle patologie del detenuto

Giustizia - di Piero de Cindio

12 Agosto 2024 alle 14:01

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Il dramma di Francesco Mario: con un arto amputato sbattuto in cella senza cure mediche

Da Catanzaro a Modena, sino a Parma e poi, di nuovo, a Catanzaro: sono questi i trasferimenti subiti da Francesco Mario, detenuto cosentino di quarantacinque anni, attualmente ristretto nella Casa circondariale di Catanzaro, dove è stato allocato, ormai un anno addietro, a seguito di dichiarazione da parte degli altri istituti penitenziari di indisponibilità ad assisterlo e prestargli cure mediche adeguate. È ammalato e le sue condizioni di salute peggiorano di giorno in giorno: ha subito l’amputazione dell’arto inferiore, ha una gravissima ipofunzione dell’arto superiore con anchilosi dell’articolazione del gomito, soffre di assonotmesica del nervo radiale, ha un importante psoriasi a livello dell’arto superiore e, ormai, è anche obeso.

Per lui era stata avanzata richiesta di differimento di pena, rigettata però dal Tribunale di Sorveglianza di Catanzaro, che tuttavia, riconosciuta l’inadeguatezza del carcere del capoluogo calabrese a curarlo, aveva incaricato il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria di individuare un istituto di pena più all’avanguardia così da potergli garantire le cure mediche di cui necessita. I trasferimenti sono stati disposti ed eseguiti, il detenuto collocato in queste nuove strutture penitenziarie, dalle quali ben presto, però, è giunta una nota con cui si è messo nero su bianco l’impossibilità a curarlo per la grave patologia. Da qui il ritorno nel carcere di provenienza, Catanzaro e l’inizio di un patimento che contrasta palesemente con il principio costituzionale di umanità della pena.

Allora, il Tribunale di sorveglianza ha disposto l’iscrizione d’ufficio della procedura ex art. 11 ord. pen., con contestuale richiesta all’area sanitaria del carcere di individuare idonee strutture per effettuare gli interventi di protesizzazione dell’arto inferiore e successiva terapia riabilitativa. Sono trascorse settimane e, ancora, la Direzione sanitaria dell’istituto di pena di Catanzaro non solo non ha provveduto ad adempiere alle richieste avanzate dal Tribunale di sorveglianza, ma avrebbe trasferito il detenuto dal centro SAI, dove effettuava alcuni cicli di fisioterapia, ad una sezione comune, con un’interruzione, quindi, della terapia riabilitativa e senza più l’assistente alla persona. La difesa aveva chiesto che il detenuto potesse essere trasferito in una struttura sanitaria esterna adeguata, soltanto per il tempo strettamente necessario per la preparazione anatomica del moncone dell’arto, nonché dei successivi cicli di terapia intensiva, fornendo anche un elenco di centri medici idonei, disponibili ad accoglierlo.

Su questa storia, però, è calato il silenzio: la Direzione sanitaria carceraria non ha verificato l’idoneità delle strutture proposte e non ha risposto ai quesiti del Tribunale di Sorveglianza; tutto questo mentre il quadro clinico sembrerebbe peggiorare. Vani anche gli interventi del Garante regionale dei detenuti, a cui non sono mai state fornite informazioni precise e veritiere circa le condizioni di salute. Continuare a mantenerlo in carcere, privandolo, probabilmente in maniera irreversibile, della possibilità futura di condurre una vita normale, recuperando l’arto inferiore, equivale a praticare quei «trattamenti contrari al senso d’umanità» che la nostra Costituzione vieta; divieto, ormai, consacrato anche dalla Cedu e per cui, sempre più spesso, il nostro Paese viene condannato. È la dura vita dietro le sbarre.

 

12 Agosto 2024

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