Li guardano, perché devono, ma non li vedono, non sono capaci. Con Vademecum diffuso dal Dap (a firma della vice capo Lina Di Domenico), relativo alla (contro)riforma contenuta nel dl 92/2024, convertito in l.112/2024, si è disposta la “massima diffusione del documento”. Al punto 2 si sostiene che il detenuto saprà subito il suo fine pena, all’atto dell’emissione dell’ordine di esecuzione, ma si omette dal dire che il pm che cura il titolo detentivo non conosce gli esiti delle istanze di liberazione anticipata, Ciò comporterà un aumento del contenzioso.
Al punto 3 si afferma che “la pena verrà ridotta di 45 giorni ogni sei mesi, automaticamente senza necessità di fare alcuna istanza al magistrato di sorveglianza”. «Questa è una dichiarazione non solo falsa, ma anche pericolosamente fuorviante» così Leo Beneduce, segretario dell’Osapp.
Al punto 4 si legge che “ogni volta che il ristretto farà una istanza per le misure alternative alla detenzione, automaticamente il magistrato di sorveglianza applicherà la riduzione per la liberazione anticipata”. Per un verso si assume per certo che il beneficio verrà concesso, mentre l’esito potrebbe essere opposto, e per altro non si considera che il termine per decidere (90 giorni) non potrà essere rispettato per chi ha sofferto lunghe carcerazioni. Una nuova condanna della Corte europea è scontata, per violazione dell’art.5, 1, della Convenzione (cfr. Corte Edu, Quarta Sezione, 24.3.2015, Messina c. Italia).
Il punto 5 non fa incredibilmente i conti con quanto evidenziato nella Relazione del D.L. 92/2024, laddove si chiarisce che “il numero dei destinatari della misura sia pari a 206 detenuti all’anno”.
Il punto 6 indica un percorso di favore per i condannati privi di attività lavorativa che chiedano l’affidamento in prova, attraverso lo svolgimento di servizi di volontariato. Si tratta di ipotesi già giurisprudenzialmente riconosciuta (ex multis, Cass. Sez.I, 28.11.2023, n.14003), che qui si presenta come innovativa.
Infine, la perla; al punto 7 si richiama la disciplina di favore per i condannati con pena residua tra i 2 e 4 anni con età pari o superiore a 70 anni, salvo che per i delitti di cui agli artt. 4 bis o.p. e 51, comma 3 bis, c.p.p., che potranno accedere alla detenzione domiciliare.
Ancora una volta, si truccano le carte; per quelle pene, e per quei reati (l’unica novità concerne le condanne per gli ulteriori delitti inseriti nell’art.656, comma 9, c.p.p., e non nell’art. 4 bis o.p.) una pena residua contenuta nei 4 anni non comporta mai l’arresto al momento del giudicato. Però adesso gli anziani li chiudiamo in casa, e se poi non ce l’hanno sono affari loro. Come si vede, si ingenerano aspettative, regalando illusioni a chi niente ha più nelle sue tasche, a chi non trova risposte. Si soffia sul fuoco, scaricando sulla magistratura la responsabilità dello stato dell’arte.
Però abbiamo il colpo a sorpresa, il cappellaio matto (e i cinque esperti) che risolve problemi, il Commissario straordinario per l’edilizia penitenziaria, che opera in deroga a ogni disposizione di legge diversa da quella penale. Il Vice Capo Dap ha preso carta e penna, ricordando ai Provveditori le regole (schede tecniche) per l’utilizzo di scudi, caschi, guanti, kit antisommossa, da usare senza necessità di autorizzazione quali dispositivi di protezione individuale in tutte le situazioni di rischio incolumità del personale. In attesa del Gruppo antisommossa per le carceri, non perdiamoci d’animo.