Cimitero Mediterraneo e lager libici
Lager libici, cimitero Mediterraneo, rotta balcanica: e Piantedosi esulta per i migranti
La retorica governativa maschera i flussi veri. Lasciar morire affogati o lasciar deportare naufraghi è servito soltanto a far aumentare il numero delle partenze da altri porti
Cronaca - di Gianfranco Schiavone
Nel suo rapporto del 13 agosto 2024, l’agenzia europea Frontex ha diffuso dei dati relativi agli arrivi “irregolari” dei migranti in Europa nei primi sei mesi del 2024, suddivisi tra le diverse rotte migratorie. Il dato che balza immediatamente in evidenza riguarda la diminuzione di ben il 67% degli arrivi sulla rotta del Mediterraneo centrale, quella che ha come punto di arrivo l’Italia. La notizia è stata ripresa con grande enfasi propagandistica dal Governo italiano secondo il quale questa diminuzione dimostra il successo della sua politica. I dati forniti dall’agenzia mettono tuttavia in evidenza un parallelo forte aumento degli arrivi nella rotta occidentale verso la Grecia (più 57%) con migranti provenienti in prevalenza da Afganistan, Siria ed Egitto, e soprattutto indicano un’impennata della rotta occidentale atlantica, ovvero quella delle isole Canarie (più 154%).
Gli stessi dati evidenziano dunque come le maggiori difficoltà di attraversamento del Mediterraneo centrale (che rimane comunque il canale maggioritario) determinano una diversificazione delle rotte verso l’Unione Europea ma non generano non automaticamente una diminuzione complessiva degli arrivi. Limitare l’analisi a questa sola considerazione sarebbe tuttavia poca cosa; se allarghiamo lo sguardo considerando i movimenti migratori (ed in particolare quelli forzati) a livello internazionale, vediamo che nessuna, ma proprio nessuna, fonte autorevole consente di ipotizzare che sia in atto a livello globale un miglioramento del bisogno di protezione dei rifugiati, con connessa diminuzione delle fughe dai paesi di origine; al contrario, anche nella prima metà del 2024 è proseguita la triste crescita del numero totale dei rifugiati nel mondo, tendenza oramai consolidata nell’ultimo decennio e fotografata dai rapporti annuali dell’Unhcr (Alto commissariato delle Nazioni unite per i Rifugiati).
Sono proprio i più recenti dati di questa agenzia Onu a confermare l’esistenza di un quadro per nulla positivo. Prendiamo ad esempio alcune delle più rilevanti situazioni di crisi: rispetto alla Siria, Unhcr ricorda che “nel 2024, si stima che 16,7 milioni di persone (8,4 milioni di donne e 8,3 milioni di uomini) avranno bisogno di assistenza umanitaria in Siria, rispetto ai 15,3 milioni del 2023”. Sul Mali, snodo cruciale della rotta dell’Africa centrale, i rapporti Unhcr sottolineano come “sin dall’ottobre 2023 si registra un afflusso massiccio di rifugiati e di richiedenti asilo” da diverse aree del Sahel e del Burkina Faso in particolare, tanto che accanto alle 102mila persone registrate ve ne sono almeno altre 84mila ancora da registrare. Per ciò che riguarda l’Afghanistan nella prima metà del 2024 sono stati registrati 39mila ritorni nel Paese ma essi non sono conseguenza di un miglioramento delle condizioni interne di quel disgraziato Paese, bensì sono imputabili esclusivamente alla decisione del Pakistan (che comunque ospita due milioni di rifugiati) di attuare dei rientri forzati dei rifugiati afgani.
Una scelta attuata in violazione del diritto internazionale sui rifugiati che risulta tanto brutale quanto inutile; nella prima metà del 2024 le fughe dall’Afghanistan verso il Pakistan sono state pari a 27mila persone (dati Unhcr). La parziale diminuzione degli arrivi evidenziata da Frontex non può essere considerata un fatto positivo perché non è connessa né ad alcun positivo sviluppo della situazione internazionale, né ad un aumento dei reinsediamenti o ad altre forme di ingresso protetto che tolgono fette di mercato ai trafficanti, bensì è indicatore di una situazione allarmante ovvero la crescita del numero di persone con un bisogno di protezione internazionale che vengono forzatamente bloccate nei Paesi di transito (o che più correttamente dovremmo definire Paesi di confinamento) che in parte non possono, in parte non vogliono, assicurare al numero crescente di persone presenti sul loro territorio alcuna protezione effettiva.
Nella citata nota dell’Agenzia Frontex si può leggere ciò che è già a tutti noto ovvero che “Il calo di quest’anno può essere attribuito principalmente alle misure preventive adottate dalle autorità tunisine e libiche per contrastare le attività dei trafficanti. Gli arrivi da questi due Paesi rappresentano il 95% di tutti i migranti segnalati sulla rotta del Mediterraneo centrale.” In queste due parole, “misure preventive” troviamo un immorale stravolgimento del linguaggio che non è finalizzato a descrivere la realtà bensì ad occultarla: non è infatti in atto in Libia, nella quale cresce la tensione interna tra le aree del Paese controllate dal governo di Tripoli e quelle che rimangono controllate dal governo di Haftar, alcuna azione finalizzata a proteggere e tutelare i diritti fondamentali delle persone in fuga e a contrastare la violenza verso di loro da parte dei trafficanti di esseri umani e dei corpi di polizia statali più o meno formali (sul cupo ruolo dei corpi statali/parastatali in Libia, Tunisia, Egitto, Algeria e altri paesi dell’area come agenti di sistematici atti di violenza sui migranti rinvio all’articolo pubblicato il 2 agosto).
La Libia continua a non avere alcuna normativa che preveda forme, neppure minime, di protezione verso i rifugiati i quali sono imprigionati, torturati e venduti ovunque nel Paese. Nello stesso tempo dalla Libia non è in atto, né in previsione, la realizzazione di alcun serio programma di reinsediamento verso l’Unione Europea. Quanto alla situazione in Tunisia essa è precipitata nel corso dell’ultimo anno per ciò che riguarda il rispetto dei diritti umani degli stranieri nonché dei cittadini, e i rifugiati oltre a non accedere a nessuno status di protezione vengono deportati nel deserto dove vengono lasciati morire di stenti come confermato da tutte le fonti nonostante i tentativi di coprire tali fatti. Dove andranno le persone respinte e violentate nel corpo e nella psiche che sopravviveranno alle violenze? Proseguiranno comunque il loro viaggio verso l’Europa, soltanto più lentamente, con maggiori deviazioni e maggiore sofferenza e soprattutto maggiore sarà il giro d’affari legato al traffico di esseri umani che si declama voler contrastare (mentre invece lo si incentiva) in quanto vige la stessa legge economica che regola gli altri campi: più complessa è l’operazione del viaggio, più alto è il prezzo da pagare.
Quanto ai rientri volontari da paesi terzi verso il paese di origine il loro numero rimane molto modesto se paragonato ai movimenti migratori nel loro complesso, né potrebbe essere altrimenti se non mutano le cause che hanno portato alle fughe dai paesi di origine. I rientri realmente volontari non sono mai possibili per i rifugiati, per chiare ragioni, ma poche volte sono praticabili anche per gli altri migranti a causa dei radicali cambiamenti che la scelta di partire produce nella vita delle persone e sul contesto sociale e familiare che hanno lasciato alle spalle. Tra gennaio e giugno 2024 l’Iom (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni) ha effettuato 3.500 rimpatri cosiddetti volontari dalla Tunisia, con un aumento del 200% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Vi sono seri motivi per dubitare della natura realmente volontaria di gran parte di tali rientri, e quindi della loro legittimità in relazione allo stesso mandato dell’agenzia che li realizza con finanziamenti europei, la quale dovrebbe iniziare a porsi dei seri interrogativi sul proprio ruolo e sulle proprie funzioni. Non c’è alcuna volontarietà se la scelta del ritorno rappresenta l’ultimo tentativo per sottrarsi a una situazione di violenza estrema.
Tornando in conclusione ai dati forniti dall’agenzia Frontex, due fenomeni in apparente contraddizione tra loro ci dicono molto della situazione reale: da un lato la forte diminuzione dei transiti lungo rotta balcanica (meno 75%), in particolare di cittadini afgani e siriani, e dall’altro, come già evidenziato, il netto aumento degli arrivi in Grecia. I due dati vanno letti insieme: a causa dell’assenza di un piano europeo di ricollocazione dalla Grecia verso gli altri Paesi europei e di una politica di accoglienza ed inclusione nella stessa Grecia, sempre più respingente verso i rifugiati, pressoché tutti coloro che sono già arrivati e che arriveranno in questo Paese di frontiera dell’Unione proseguiranno il loro viaggio attraversando i paesi della rotta balcanica uscendo dall’Unione Europea per rientravi più a nord, a Lubiana, a Trieste o a Vienna.
La contrazione degli ingressi registrata nei primi mesi del 2024 lungo la principale rotta terrestre che porta verso l’Europa risulta dunque del tutto temporanea ed è assai probabile che nel prossimo periodo si verifichi un aumento dei transiti e un parallelo netto aumento delle violenze e dei respingimenti lungo la rotta balcanica attuate per contrastare i nuovi flussi. Ciò deve allarmare gli enti di tutela dei diritti umani, nonché il Parlamento europeo, portando a decidere di attuare un costante monitoraggio su quest’area dell’Europa che rimane incredibilmente poco monitorata nonostante la sua rilevanza: le violenze lungo la rotta balcanica sono infatti eventi di radicale illegalità che avvengono dentro l’Unione Europea e gli attori di tali violenze non sono dittatori di paesi terzi, bensì i nostri governi ancora vincolati al rispetto dello stato di diritto.