Il dramma di Porticello
Perché lo yacht Bayesian è affondato: non è stata una tromba d’aria ma un veliero costruito male…
Una tragedia, una tomba. I responsabili, aldilà dell’attore ultimo credo che vadano reperiti fra i cercatori di sfide.
Cronaca - di Ammiraglio Vittorio Alessandro
Lo Gnommero. Le tragedie, anche quelle in mare, sono in genere da imputare a un concatenarsi diabolico di eventi: uno soltanto di loro non basterebbe, infatti, nell’intento disgraziato. Una molteplicità di causali convergenti che il commissario Ingravallo di “Quer pasticciaccio brutto de via Merulana” (Carlo Emilio Gadda) chiamava anche «nodo o groviglio, o garbuglio, o gnommero, che alla romana vuol dire gomitolo». E allora «le causali, la causale» sono diverse, e la prima è un fenomeno meteorologico con il quale – ora che l’ottimismo improvvido delle cose ci ha gradatamente sospinti in zona tropicale – converrà, nei limiti angusti del possibile, cominciare a fare i conti.
Ad affondare il Perini Navi di 56 metri Bayesian, pare senza rottura d’alberi, senza falle, non è stata, come si dice, una tromba d’aria, cioè un veloce movimento rotatorio d’aria verso l’alto, ma un downburst, ovvero una violenta precipitazione d’acqua (verticale, dunque, ma verso il basso) che, raggiunta la terra o lo specchio d’acqua, ruota muovendosi violentemente in modo trasversale alla superficie. L’imbarcazione ha subìto, dunque, un fortissimo spostamento laterale che l’ha spinta su un fianco senza possibilità di raddrizzamento, forse per la conseguente trasformazione di un portellone in via d’acqua. Ma il downburst da solo può non bastare, se non è bastato ad affondare le imbarcazioni più piccole che si trovavano in prossimità di quella andata a picco.
Potrebbe essersi resa determinante anche la scelta costruttiva estrema di dotare un’imbarcazione di 56 metri dell’albero “più alto del mondo”, come è stato orgogliosamente definito, cioè una struttura di 75 metri. Si tratterebbe dell’ennesima sfida costruttiva agli equilibri di una nave, estrema in normali condizioni di esercizio, letale di fronte a situazioni meteorologiche eccezionali. Una terza «causale», forse, verrebbe in mente ad Ingravallo: la quantità di vie di fuga in una imbarcazione così lunga e così studiata per sembrare una suite. Qualcuno dei vigili del fuoco soccorritori ha subito detto: “È come una piccola Costa Concordia”. In effetti, anche quella volta ci fu lo “gnommero” di una doppia sfida: la grandiosità costruttiva di una nave che non ammette falle e la corsa notturna accanto agli scogli delle Scole. Mi hanno colpito alcune interviste ai pescatori di Porticello. Il primo parlava di “tomba d’aria” per dire la tromba, un altro di una “tomba d’acqua” piuttosto che di bomba. Una tragedia, una tomba. I responsabili, aldilà dell’attore ultimo – se mai in questo caso vi fosse, e non credo – credo che vadano reperiti fra i cercatori di sfide.