Non solo Gaza e Libano. L’offensiva israeliana contro “l’asse del male” si è spostata in maniera pesante nella Cisgiordania, ovvero quel territorio che secondo la comunità internazionale sarebbe la “base” per il futuro Stato della Palestina e che ancora oggi è invece parzialmente sotto il controllo israeliano, sia militarmente che tramite gli insediamenti illegale dei “coloni”.
È qui che nella notte tra martedì e mercoledì 28 agosto l’esercito ha compiuto la più grande operazione militare dal 7 ottobre ad oggi. Secondo la Mezzaluna Rossa palestinese (la sezione locale della Croce Rossa) nell’operazione sono state uccise almeno 10 persone: i blitz dell’IDF sono scattati contemporaneamente nelle città di Nablus, Jenin, Tulkakrem e Tubas.
L’attacco notturno è a suo modo “storico”: è la prima volta dalla seconda Intifada che l’esercito israeliano compie attacchi simultanei in Cisgiordania.
Il principale obiettivo dei raid, secondo fonti militari israeliani, sarebbe stata la rete terroristica che ha pianificato e diretto il fallito attentato della scorsa settimana a Tel Aviv, il primo da otto anni: rete che avrebbe avuto come base la città di Tulkarem.
Ma non solo. Le israeliane sarebbero entrate in un ospedale a Jenin e ne avrebbero bloccati due a Tulkarem: nel campo di Far’a i medici affermano che le ambulanze hanno difficoltà a raggiungere i feriti dopo un attacco con drone israeliano.
La strategia israeliana in Cisgiordania
La strategia, esplicitata senza mezzi termini dal degli Esteri israeliano Israel Katz, è quella di replicare parzialmente quanto fatto da Israele dall’8 ottobre ad oggi nella Striscia di Gaza: Katz ha infatti chiesto di “sgomberare temporaneamente” alcune aree della Cisgiordania.
“Dobbiamo affrontare la minaccia del terrorismo allo stesso modo in cui affrontiamo l’infrastruttura del terrorismo a Gaza, anche con lo sgombero temporaneo degli abitanti palestinesi e qualsiasi misura sia necessaria – ha scritto Katz su X -. È una guerra in tutti i sensi e dobbiamo vincerla”.
Katz ha tirato in ballo ovviamente il nemico numero uno, l’Iran. Per il ministro la Repubblica islamica “sta lavorando per stabilire un fronte terroristico orientale contro Israele in Cisgiordania, secondo il modello di Gaza e Libano, finanziando e armando i terroristi e contrabbandando armi sofisticate dalla Giordania”.
Le reazioni palestinesi
Le reazioni palestinesi all’offensiva israeliana non si sono fatte attendere. L’ala armata di Fatah, il partito che governa la parte palestinese della Cisgiordania, ha affermato che sta prendendo parte ai combattimenti, tra cui il lancio di bombe contro le truppe israeliane.
Hamas ha invece chiesto alle forze di sicurezza fedeli all’Anp di sollevarsi contro Israele elogiando i palestinesi che stano combattendo contro l’Idf. Mentre Abu Mazen, presidente dell’Autorità nazionale palestinese, dopo l’attacco di Israele ha deciso di accorciare la visita in Arabia saudita e rientrare a Ramallah.
L’Onu condanna l’attacco
L’offensiva militare israeliana in Cisgiordania è stata censurata anche dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani, che ha condannato la “risposta sempre più militare” delle forze di sicurezza israeliane nei territori occupati.
L’agenzia Onu ha sottolineato che l’operazione militare israeliana in Cisgiordania è condotta “in un modo che viola il diritto internazionale e rischia di infiammare ulteriormente una situazione già esplosiva”.
I negoziati continuano in Qatar
Nonostante le tensioni sempre più crescenti che infiammano il Medio Oriente, si continua a lavorare per cercare di raggiungere la fatidica tregua e il rilascio degli ostaggi israeliani ancora in mano ad Hamas, delle cui sorti ormai si sa poco.
I negoziati proseguono infatti in Qatar, dopo che un precedente round di colloqui si è concluso al Cairo in mezzo alle crescenti tensioni regionali. L’uomo di punta del presidente statunitense Joe Biden per il Medio Oriente, Brett McGurk, è a Doha per i colloqui volti a porre fine al conflitto di 10 mesi tra Israele e Hamas.