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Intervista a Pierfrancesco Majorino: “Due anni di governo Meloni: vittimismo, autoritarismo e zero politiche sociali”

Intervista a Pierfrancesco Majorino: “Due anni di governo Meloni: vittimismo, autoritarismo e zero politiche sociali”

Pierfrancesco Majorino, responsabile immigrazione nella segreteria nazionale del Partito Democratico, capogruppo Dem alla Regione Lombardia: Autonomia differenziata, salario minimo, bonus famiglia…. Si annuncia un autunno politicamente rovente. Quali le priorità per il PD?
Il Partito Democratico in questi mesi in maniera molto chiara e netta ha indicato alcune priorità. Innanzitutto, quelle riguardanti la necessità di una svolta in campo economico e sociale, o sul terreno del nesso tra politiche di sviluppo, coesione e conversione ecologica. Sono convinto che proseguiremo con grande determinazione su queste strade. Alcune battaglie sono obbligate…

Quali?
Di certo una di esse, davvero centrale, riguarda la questione salariale. Che vuol dire più cose: battersi con insistenza, nonostante la cecità del governo, sulla questione del salario minimo, e poi essere al fianco delle organizzazioni sindacali che giustamente rivendicano una nuova “stagione salariale” in senso molto più ampio, che significa contratti e politiche di sviluppo e crescita che siano intelligenti e utili. Nell’ambito di un’agenda sociale nuova per il Paese vi è poi la questione della difesa e della ricostruzione della sanità pubblica. Dalla Lombardia posso dire che ha preso piede in modo terribilmente evidente una privatizzazione selvaggia e senza regole del sistema che alimenta le liste d’attesa – dietro le quali spesso ci sono gli interessi dei privati – e si indebolisce la medicina territoriale. Del resto, la destra chiacchiera molto, su questo terreno, -quello delle parole al vento, terreno su cui Giorgia Meloni è una campionessa assoluta – e poi fa il contrario.

Ad esempio?
Guardiamo al pasticcio legato alle politiche famigliari. Siamo all’attacco degli strumenti precedentemente messi in campo. Condivido molto, in quest’ottica, le cose dette dai nostri parlamentari. Si parla tanto di famiglia e poi ci si appresta a limitare gli strumenti presenti. Andando nella direzione contraria rispetto a quanto si dovrebbe fare. Invece di tagliare i contributi bisognerebbe estendere e potenziare il congedo ai padri. Serve un’agenda di governo a sostegno della genitorialità. Ad oggi da destra è venuto un grande vuoto e ora il pasticcio dei possibili tagli. Un brutto spettacolo. Ovviamente la battaglia referendaria sull’autonomia sarà poi un gigantesco banco di prova per tutti. Aggiungo che ho trovato davvero interessante il fatto che migliaia di firme a sostegno del referendum siano arrivate dalle regioni del nord. Sono convinto che in buona parte delle città del nord la campagna referendaria sarà forte e intensa. Questa della destra è una pessima ipotesi di autonomia. Quella che, peraltro, non aiuta per nulla gli enti locali. Un’autonomia che non aiuta le città e che alimenta i divari tra le diverse aree del Paese è un terribile pasticcio da evitare, lo ha scritto recentemente il Sindaco di Milano, Beppe Sala e ha fatto molto bene a farlo, ricordando che il no all’autonomia di Calderoli è un no fondato anche su pragmatismo e concretezza, cioè su di una valutazione degli effetti.

Contenuti e alleanze dovrebbero essere le due facce di una stessa medaglia politica ma, almeno nella comunicazione, a dominare è l’eterna metafora del “campo largo” su cui impazza Matteo Renzi.
La rotta giusta l’ha indicata la nostra segretaria Elly Schlein. Non perdiamoci sulle formule. Parliamo delle cose da fare. Rafforziamo un nucleo di battaglie comuni e non pensiamo di cavarcela attraverso la sommatoria delle forze politiche. C’è bisogno di tanta buona politica che parli della vita vera delle persone. Su salario, sanità, diritti mi pare che siamo sulla strada giusta e dobbiamo insistere in questa direzione e soprattutto dobbiamo farlo intensificando il lavoro comune con organizzazioni sociali, sindacali, esperienze attive nella società. In questo quadro mi faccia ricordare che, ad esempio, sulla questione importante della Riforma della cittadinanza, da parte nostra non esiste solo un tema di merito – e quindi il voler insistere sullo Ius Soli come base dalla quale partire e voler incoraggiare qualsiasi cambiamento che possa venire dal Parlamento – c’è pure un tema di metodo rispetto alle voci con cui interloquire. Che, per l’appunto, non sono solo quelle delle forze politiche. Ci sono associazioni e movimenti che si battono su questi terreni da tempo e per noi sono i primi interlocutori con cui confrontarsi. Anzi, i primi interlocutori che la politica deve ri-conquistare dopo che, proprio il centrosinistra, non aveva avuto la forza e il coraggio necessari per portare a casa un vero cambiamento quando era al governo.

A novembre si vota in Emilia-Romagna, Liguria e Umbria. Uniti si può vincere, ripete Elly Schlein, ma i 5 Stelle di Conte hanno compreso la lezione?
Non parlerei di lezioni ma di quel che serve al Paese. Io credo che tutti quelli che vogliono costruire un’alternativa alla destra debbano lavorare insieme. Mi pare che proprio in queste ore si stia chiarendo il quadro, ad esempio, in Liguria a sostegno di Andrea Orlando. E ci sono ottime candidature in campo anche in Emilia-Romagna e in Umbria. Dobbiamo guardare con grande fiducia a quegli appuntamenti e favorire la creazione di alleanze forti e ampie. In passato i 5 Stelle, ma pure i soggetti politici del terzo polo – penso proprio alla Lombardia, quando dal terzo polo si sono imbarcati nella folle operazione politica di sostenere Letizia Moratti, perdendo un sacco di elettori – hanno fatto scelte diverse. Per noi il lavoro unitario è un tratto irrinunciabile che deve, tuttavia, essere accompagnato, dalla forza di alcuni contenuti che citavo.

A proposito di elezioni. A novembre gli americani eleggono il nuovo inquilino o inquilina della Casa Bianca. Per Conte Kamala Harris e Donald Trump pari sono. Come la mettiamo?
Non è una domanda che va posta a noi ma al Presidente Conte e al Movimento 5 Stelle. È evidentissimo che tra Harris e Trump ci sia un abisso, fatico a comprendere, come si possa sottostimare l’effetto dirompente, terrificante, che avrebbe una eventuale presidenza Trump. Ciò su vari terreni. Quello della qualità della democrazia americana, quello dell’idea di rapporti con il mondo – e dunque di rapporti con l’Europa -, rispetto al giudizio su Putin o in relazione alla questione gigantesca della conversione ecologica. Laddove, non dimentichiamolo, Trump è l’avamposto del negazionismo climatico globale. Peraltro, dalla Convention democratica sono emersi alcuni temi, penso proprio in campo economico sociale che son certo stiano a cuore al Movimento 5 Stelle.
Spero che nei prossimi giorni il Presidente Conte chiarisca quanto ha affermato, lo dico da “dialogante” coi 5 Stelle della prima ora.

Siamo a due anni di governo delle destre. Bilancio?
Il governo è un bel mix tra le parole di Giorgia Meloni, un continuo bla bla vittimistico e altri fattori. Mi riferisco al nulla assoluto, se non significativi passi indietro, compiuti sulle questioni sociali – pensiamo a cose molto concrete: dalla sanità al salario alla totale assenza di politiche sulla Casa -, un certo piglio autoritario mostrato in relazione alle vicende dell’informazione o rispetto alla gestione del tema dei soccorsi in mare. Purtroppo, è un governo che ha mantenuto tutte le peggiori premesse. Con un di più. Quel che più mi colpisce è il totale abbandono di un certo “approccio sociale” che mi aspettavo fosse presente da parte di Fratelli d’Italia. La privatizzazione – come soluzione – del tema della sanità credo sia la dimostrazione di tutto ciò e temo che la manovra economica alle porte rafforzi questa tendenza. La sfida, a maggior ragione, va condotta proprio su questi terreni, come peraltro stiamo facendo.

Le elezioni passano, le guerre continuano. Sul fronte russo-ucraino, in Medio Oriente. Dire che Israele sta trasformando la Cisgiordania in una immensa colonia ebraica e denunciare la mattanza in atto a Gaza, vuol dire essere antisemiti?
No, purtroppo no. Vuol dire essere persone di buonsenso. Netanyahu ha le mani sporche di sangue e mira alla cancellazione di un popolo. Non reagisce solo “malamente” al folle terrorismo di Hamas. Punta al suo utilizzo per legittimare un massacro. In quest’ottica l’Europa dovrebbe mostrare molta più compattezza e molto più coraggio. Torno ai contenuti della mozione parlamentare del Partito Democratico di alcuni mesi fa. Lì, io credo, c’erano dei punti irrinunciabili sia in relazione alla sicurezza dello Stato d’Israele che rispetto al riconoscimento dello Stato di Palestina. La strategia di Netanyahu va in direzione opposta. Speriamo che le mobilitazioni proprio di tanti cittadini israeliani in questi giorni riescano a incidere molto più di quanto è accaduto sin qui.