Solo il Papa ha infranto una imbarazzante congiura del silenzio e ha protestato per la norma promulgata dal presidente Zelensky che dichiara fuorilegge la Chiesa ortodossa ucraina – maggioritaria nel paese – in quanto legata al Patriarcato di Mosca (fin dal 1686). Il castigo di una confessione, che vanta in Ucraina novemila parrocchie, ha incontrato l’indifferenza delle cancellerie europee, le stesse che pure avallano l’escalation bellica in nome dell’edificante duello metafisico per la democrazia.
I diritti fondamentali, come è noto, hanno avuto il loro impulso originario proprio dalla protezione dell’autonomia soggettiva in materia di fede. Quando, assieme alle libertà di più recente gestazione (il pluralismo politico, calpestato con la messa al bando di undici partiti), vengono negati dal governo di Kiev anche i diritti di prima generazione (tutela delle minoranze linguistiche e religiose), diventa perciò arduo proseguire nella narrazione attorno ad una santa missione democratica che autorizza perfino a rischiare il terzo conflitto mondiale. Giustamente Andrea Riccardi sul Corriere della sera si chiede se in Ucraina, con la crociata contro i santuari, le cattedrali e i conventi, non sia tornata la più antica guerra di religione, che postula la violenza organizzata per marcare un controllo politico delle coscienze individuali. È indubbio che dal più lontano passato europeo riemerge ora il progetto di una teologia di Stato, la quale dispone in modo coercitivo dei simboli mistici non esitando ad avvalersi degli arnesi dell’intolleranza sui “devianti”.
La contesa tra l’autocrazia di Mosca e l’assetto ibrido di Kiev ha ristretto, in ragione della dura situazione di emergenza, i margini del garantismo in entrambi i sistemi politici. Le due forme di governo, tra proroga dei poteri e ulteriore personalizzazione del comando sovrano, rivelano una certa sincronia nell’agitare dei vessilli illiberali refrattari ai grandi principi della modernità. Zelensky colpisce al cuore la libertà di culto per indurre i fedeli alla migrazione coatta dalla comunità ortodossa di Onufrij al novello rito finito nelle grazie del potere. Putin, dal canto suo, imposta la speciale battaglia culturale contro l’Occidente offrendo la cittadinanza russa agli avversari dei decadenti valori della secolarizzazione. Con la tipica impronta reazionaria che lo rende un saldo riferimento per le diverse destre continentali e per qualche dinosauro in divisa, il Cremlino già nel 2020 varò delle riforme costituzionali che contenevano il richiamo a Dio e riconoscevano la valenza pubblica della tradizione, ispiratrice delle prescrizioni in tema di famiglia e di preferenze sessuali.
La cesura con l’Ottobre, nel segno del tradizionalismo quale ideologia di un dispotismo arcaico, è alquanto palese: “Lenin era un sostenitore della libertà degli stili di vita, come dimostra il fatto che il decreto da lui firmato nella Russia sovietica fu il primo al mondo a depenalizzare l’omosessualità. Georgij Čičerin, commissario per gli Affari esteri, non faceva mistero del suo amore per gli uomini, e molti altri non nascondevano il loro orientamento sessuale” (T. Krausz, Lenin, Roma, Donzelli, 2024). I diritti indisponibili sono in affanno anche a Kiev. Rispetto al rapporto del 2022 (The Economist Intelligence Unit – Democracy Index), che classificava l’Ucraina come un “regime ibrido” nel quale, tra il disincanto diffuso, “la presa del sistema oligarchico dei clan sulla vita politica sembra essere più forte che mai”, oggi non si registrano miglioramenti.
La resistenza all’invasione non ha prodotto, oltre i separatismi armati, una sensibilità nazionale omogenea quale base di un efficace consolidamento democratico. Nell’afonia dell’Europa l’esecutivo ordina lo sgombero dei luoghi di preghiera, l’impiego della polizia per serrare i portoni sacri, la compilazione di liste di proscrizione contro i preti sospettati di essere in combutta con il nemico. Quasi tre anni di terrore ad Est hanno soltanto inasprito il volto marziale degli ordinamenti. I missili non hanno riassorbito le fratture etniche e territoriali. Le direttive autoritarie per costruire attraverso lo scisma un autoctono credo obbediente, più che all’età del costituzionalismo, riconducono all’universo vetusto del Leviatano e al modello di uno “Stato ecclesiastico e civile”.
Il fallimento della guerra quale affidabile strategia di democratizzazione propone di nuovo come ineludibile, nell’attuale era post-americana, la questione rimossa di una ridefinizione condivisa degli spazi in un quadro di governance multipolare.