La strage in mare sotto Lampedusa
Strage nel Mediterraneo: ecco le prove dell’omissione di soccorso delle autorità italiane, dove sono i giudici?
Seabird ha tutte le carte: ha segnalato a Roma la barca in difficoltà il 2 a 26 miglia da Lampedusa, perché la Guardia costiera si è mossa solo il 4? E chi ha inventato la balla del naufragio in acque libiche?
Cronaca - di Angela Nocioni
È necessario ed urgente che l’autorità giudiziaria verifichi se il piccolo scafo bianco in difficoltà, carico di persone, che è stato fotografato dall’aereo Seabird il 2 settembre a 26 miglia nautiche a sud di Lampedusa – e segnalato immediatamente con richiesta di salvataggio urgente anche al Comando generale delle capitanerie di porto di Roma, cioè della nostra Guardia costiera – è lo stesso soccorso dalla Guardia costiera il 4 settembre, a 10 miglia da Lampedusa, quando ormai 21 delle 28 persone a bordo erano già morte. Tra loro anche tre bambini.
Tutto fa supporre che la barca sia la stessa. Stessa forma dello scafo, stesso colore, stessi indumenti dei naufraghi. Se fosse verificato quello che risulta evidente a prima vista – da un confronto tra la foto scattata dall’aereo Seabird il 2 settembre e la foto scattata dalla motovedetta della Guardia costiera il 4 di fronte allo scafo ormai quasi inabissato – ci troveremmo davanti a una conferma di gravissima omissione di soccorso, l’ennesima, costata stavolta la vita a 21 persone. Perché nonostante tutte le informazioni date il 2 al Comando delle capitanerie di porto, quest’ultimo non ha avviato subito una operazione di soccorso?
Quando l’urgenza di un salvataggio è stata segnalata, i naufraghi erano a 26 miglia da Lampedusa. Le motovedette della Guardia costiera fanno 30 miglia in un’ora. Potevano arrivare in meno di sessanta minuti. Perché hanno aspettato due giorni? La risposta non può essere “aspettavamo che intervenissero i maltesi”, perché la Guardia costiera sa che Malta non risponde quasi mai alle richieste di soccorso e perché salvare vite umane in mare è un obbligo. Non ci si può nascondere dietro formulette burocratiche di fronte a persone che rischiano di morire.
Perché la notizia del naufragio è stata diffusa alle agenzie con il dettaglio – evidentemente falso – che il naufragio era avvenuto in acque libiche? Perché la bugia? Per nascondere che la nostra Guardia costiera doveva intervenire subito e invece non l’ha fatto? E chi copia pari pari le veline non ha la decenza di chiedersi come fa una barca a naufragare in acque libiche, cioè entro 12 miglia dalla costa della Libia, ed arrivare due giorni dopo a dieci miglia a sud di Lampedusa con sette sopravvissuti? Vola? Questa che segue è la ricostruzione dei fatti da parte dell’aereo Seabird 2, ricostruzione facile da verificare perché tutte le comunicazioni sono documentate.
Il 2 settembre alle 12:28 UTC Seabird 2 individua una barca con circa 30 persone a bordo, con un solo motore e linea di galleggiamento piuttosto bassa, a 37 miglia nautiche da Lampedusa (posizione: 34°53’N, 12°37’E).
Alle 12:51 l’equipaggio di terra di Seabird invia una mail alle autorità italiane e maltesi, segnalando la presenza della barca in difficoltà.
Alle 13:38 Seabird individua di nuovo la barca. Si trova a 31 miglia nautiche da Lampedusa (posizione: 34°59’N, 12°35’E).
Alle 14:09 l’equipaggio di terra di Seabird aggiorna le autorità italiane e maltesi sulla posizione della barca.
Alle 14:40 Alarmphone informa tutte le autorità, incluse le italiane, della presenza di una barca in difficoltà con 25 persone a bordo che sono partite da Sabratha (posizione: 35°00’N, 12°32’E).
Alle 14:40 Seabird individua la barca per l’ultima volta. Si trova a 26 miglia nautiche da Lampedusa (posizione: 35°04’N, 12°32’E).
Alle 15:11 l’equipaggio di terra di Seabird comunica alle autorità la posizione aggiornata della barca.
Alle 15:21 Seabird controlla l’area intorno alla posizione segnalata da Alarmphone e non trova altre barche. Pertanto, il caso individuato da Seabird è con ogni probabilità lo stesso in contatto con Alarmphone.
Il 4 settembre alle 16:54 la Guardia costiera italiana annuncia su X che la barca è affondata, pubblicando un video del salvataggio dei sopravvissuti. Seabird è uno dei piccoli aerei di ong che monitorano il cielo sopra il Mediterraneo alla ricerca di naufraghi da soccorrere e che documentano deportazioni illegali in Libia. È della ong Sea Watch, la cui nave è stata appena bloccata in porto dalle autorità italiane con un obbligo di fermo per due mesi con l’accusa di aver salvato naufraghi, che andavano soccorsi subito perché un solo secondo perso sarebbe costato la vita delle persone già in mare, senza aver prima ricevuto l’autorizzazione al salvataggio. Da notare che il Comando delle capitanerie di porto di Roma molto spesso non risponde con tempestività alla richiesta di autorizzazione al salvataggio.
Gli aerei come Seabird sono sotto attacco delle autorità italiane, tanto quanto le navi della flotta civile di soccorso. Nel maggio scorso l’Unità ha saputo da una fonte del ministero degli Interni che l’Enac, l’autorità che vigila sui voli civili, ha ricevuto per le vie brevi la richiesta di fare ispezioni sugli aerei in appoggio alle missioni di salvataggio naufraghi, allo scopo di trovare qualsiasi minimo dettaglio, qualsiasi infimo particolare, pur irrilevante nella sicurezza del volo, possa essere brandito come irregolare e impugnato per accusare l’aereo di essere “non a norma” e lasciarlo così a terra. L’ordine era, letteralmente: “rivoltateli come calzini”. Rivelatasi un buco nell’acqua la circolare con cui si tentava di impedire il decollo dagli aeroporti siciliani degli aerei di supporto alle navi di salvataggio – circolare scritta tanto male da risultare inapplicabile – è scattato il controllo pretestuoso delle strumentazioni di bordo. Poiché gli aerei sono risultati in condizioni perfette, è stato dato l’ordine di far arrivare a Palermo un etilometro per fare controlli a sorpresa ai piloti.
Ora che uno di quegli aerei, che con tanta meticolosità le autorità italiane si sono impegnate a tenere a terra con ogni pretesto, ha fornito documenti senza i quali non sarebbe stato possibile sapere cosa è realmente successo alle 21 persone morte in mare nell’ultima strage di cui si è avuta notizia sotto Lampedusa, un giudice vorrà appurare perché non sono state soccorse subito il 2 settembre dal nostro Comando delle capitanerie di porto? E, già che c’è, vorrà farsi spiegare da chi è stato fino a ieri il responsabile operativo delle Capitanerie di porto, Gianluca D’Agostino, come mai sempre più spesso le autorità italiane non si muovono finché le barche in difficoltà non entrano nella nostra zona di salvataggio, pur sapendo che aspettare che si muova Malta, Tunisi o Tripoli vuol dire condannare a morte per annegamento i naufraghi, molti dei quali bambini? Anche ieri, dopo raffiche di segnalazioni di Alarmphone, 79 naufraghi in quelle acque sono stati infine soccorsi e portati a Lampedusa. Accanto alla loro, una barca vuota.