La protesta contro il neo-premier
L’atto di forza di Macron: con la nomina di Barnier ignora la vittoria della sinistra
I francesi sono scesi in piazza per protestare contro l’ “atto di forza” del Presidente della repubblica: il neo-premier è vicino alla destra lepenista, quasi a voler ignorare la vittoria della sinistra unita alle scorse elezioni
Editoriali - di Pietro Folena
L’incarico dato dal Presidente della Repubblica francese di formare il governo a Michel Barnier – esponente di quella destra repubblicana (faccio fatica a definirla ancora gollista), che per una sua parte ha sostenuto apertamente Marine Le Pen alle elezioni politiche – rappresenta la fine politica di Emmanuel Macron. L’uomo che si era immaginato come una sorta di nuovo Re Sole – usando a più riprese addirittura lo scenario della reggia di Versailles per i propri eventi – si è svegliato dal lungo sonno olimpico e ha fatto la scelta finale.
Quanto sarà lunga questa fine politica, quanto durerà, non si può dire. Il potere presidenziale in Francia è troppo strutturato e forte per immaginarne una precipitazione rapida. Dopo la sua sconfitta senza appello alle elezioni europee e la vittoria di Marine Le Pen e del suo Rassemblement national, Macron aveva tentato l’azzardo delle immediate elezioni anticipate – facendo correre il rischio alla democrazia francese di consegnare una larga maggioranza all’estrema destra. Come avevo previsto su queste pagine, quell’azzardo è stata l’occasione per la sinistra plurale francese di realizzare un’alleanza larga, capace di raccogliere una parte del malcontento popolare e al tempo stesso di sbarrare la strada, con la disciplina repubblicana e un sentimento antifascista – usando il sistema del doppio turno e della desistenza – alla Le Pen e a Jordan Bardella. Con più di 190 seggi all’Assemblée nationale il Nouveau front populaire è stato di gran lunga la lista vincente. Anche il partito di Macron, cosa che oggi il Presidente dimentica, si è giovato della forza del Nfp, e con le desistenze ha eletto 90 deputati.
La logica politica avrebbe voluto che il Presidente lavorasse per un’alleanza larga, magari a tempo, tra il centro liberale e la sinistra plurale. Invece, sicuramente spinto dagli ambienti finanziari di cui è espressione, che preferiscono la destra lepenista alla sinistra, Macron ha prima lavorato nella speranza di spaccare il Nfp, puntando in particolare su un settore più moderato del Partito socialista per isolare la France insoumise. Le forze di sinistra hanno resistito alle sirene presidenziali e hanno proposto la candidatura di una donna, Lucie Castets, indipendente dai partiti. Questa candidatura, espressione della maggioranza relativa del Parlamento, è stata respinta con arroganza dal Presidente. Fallito il tentativo di dividere la sinistra, Macron ha scelto un uomo della destra repubblicana.
“Approvato da Marine Le Pen”, scrive il quotidiano Libération, dando conto dei contatti preliminari alla nomina di Barnier volti ad assicurarsi l’indisponibilità del Rn a votare una mozione di sfiducia sicuramente presentata dalle sinistre contro il Primo ministro. Non dovendo avere la fiducia preventiva in Parlamento, il governo Barnier nascerà forse come governo di minoranza sotto ricatto dei lepenisti, che potranno poi decidere il momento migliore per farlo cadere e tornare al voto. La risposta popolare e giovanile, in queste ore, è stata imponente in tutte le città francesi. Il segnale confortante è che gli stati maggiori della sinistra – pur guardandosi spesso in cagnesco fra di loro – sono condizionati da una spinta unitaria dal basso, che chiede una svolta radicale al Paese.
Macron diventa l’apprendista stregone. Per difendere sé stesso e il suo ruolo, non avendo capito che il clima politico e sociale è cambiato, crea uno scenario politico che favorisce il lepenismo e che, d’altra parte, spacca il Paese in due. L’uomo espressione dei Rothschild, che l’allora Presidente François Hollande aveva scelto per gestire politiche economiche gradite ai mercati, diventa il cavallo di Troia del nuovo populismo reazionario francese. In altre epoche, per descrivere atteggiamenti di questo tipo – come ci ricorda l’Accademia della Crusca – si era coniato il termine di “utile idiota”: “un tipico atteggiamento di ipocrita dabbenaggine”.
È la sinistra francese, ora, che deve reggere questa prova con determinazione e unità. La richiesta di impeachment nei confronti di Macron avanzata da Jean-Luc Mélenchon è propagandistica e non attuabile. Sarà solo in una nuova prova elettorale che potrà essere non solo confermato, ma rafforzato il ruolo della sinistra unita. Per prepararsi a quel momento, e a uno scontro ancora più duro di quello dell’estate trascorsa, occorrerà la capacità di consolidare il clima unitario, che vede sindacati, associazioni, movimenti, società civile convergere con le quattro grandi aree politiche che formano il Nfp (France insoumise, comunisti, socialisti e verdi). In qualche modo si può dire di nuovo, in un contesto tanto differente da quello del secolo scorso, “ce n’est qu’un début, continuons le combat”.