In fondo non importa che il film sia piaciuto o meno, e neppure pesa davvero il suo effettivo valore artistico. Quello è un requisito secondario, per verti versi persino controproducente, quando si tratta di cult movie e senza dubbio Ecce Bombo è un cult movie, uno dei principali nella storia del cinema italiano. Perché un film diventi cult è molto più importante che sappia parlare a un’epoca e di un’epoca, non solo come argomento ma anche nello stile, rispecchiandone i tic, i vezzi, le fissazioni. Il secondo film di Nanni Moretti, quello che lo ha consacrato e lanciato nel 1978, assolve egregiamente al compito. A patto però di intendersi su quale sia l’epoca in questione.
Ecce Bombo, nella narrazione comune, è un film “sessantottino” che racconta quella generazione e quel tempo. In realtà il film di Moretti di quell’epoca racconta il declino, fissa su pellicola formato 16 mm, solo in un secondo tempo e dopo l’imprevisto successo “gonfiata” a 35 mm, il disincanto di un’epopea che scivolava da un lato, quello assente dal film, nel sangue e dall’altro nel grottesco. All’epoca era un film a basso costo, 180 milioni di vecchie lire messe insieme grazie ai buoni uffici di due attori emergenti, Michele Placido e Flavio Bucci. Ci misero qualche soldo in molti incluso Beniamino Placido che tre anni dopo, in una trasmissione dallo stesso festival di Venezia che quest’anno ha premiato il film del 1978 per il miglior restauro, rinfacciò al regista nel frattempo diventato autore pregiatissimo la mancata restituzione. Il grande giornalista ironizzava il regista resituì la cifretta, peraltro esigua, in diretta.
C’erano attori di rilievo come Lina Sastri e Glauco Mauri, ma accanto c’erano anche parecchi amici e conoscenti in particine di quelle che oggi rappresentano il classico valore aggiunto: Giampiero Mughini, il giornalista musicale Paolo Zaccagnini, un quasi imberbe e ancora sconosciuto Augusto Minzolini nella parte di un ossessionato dal sogno di occupare la sua scuola. Non erano solo i tipici “cameo”: quell’intreccio tra attori professionisti e non, incluso il padre del regista Luigi Moretti, che sarebbe poi apparso in altri film del figlio, caratterizzavano il film, lo rendevano satira di un mondo che era direttamente in scena. Gli inizi della lunga avventura cinematografica di Moretti, del resto, erano stati davvero un prodotto di quei tempi, quasi impensabili in una fase diversa almeno per quelli che erano allora i criteri dell’industria della celluloide. Classe 1953, aveva girato e presentato tra cortometraggi girati in super 8, roba che oggi pochi si ricordano cosa fosse.
Anche il primo lungometraggio, Io sono un autarchico, del 1976, il primo in cui compariva il personaggio di Michele Apicella (cognome della madre dell’autore) destinato poi a tornare in Ecce Bombo e in altri due titoli, se l’era girato in Super 8, per un costo di appena 3.700.000 lire e con interpreti tutti non professionisti. Lo presentarono al Filmstudio, un pezzo di storia della sinistra culturale romana, e raccolse applausi imprevisti dagli stessi organizzatori. L’autore, dopo le proiezioni, doveva portarsi a casa le “pizze”: di copie disponibili ce n’era una sola. A gonfiare il formato in modo da renderlo davvero fruibile, in 16 mm, fu l’Arci e così il film, dopo essere passato da una “sala di movimento romano” con il Filmstudio a un’altra, il Politecnico, iniziò a circolare fino ad approdare addirittura in Rai.
Insomma Moretti parlava, volgendolo in satira, del suo ambiente e del suo mondo e nel successo del film che incassò due miliardi tondi, il particolare pesò. Così come pesa oggi nel renderlo il cult italiano degli anni ‘70. Ecce Bombo, oltre a essere presentato a Venezia, consacrazione ufficiale, vinse il premio Rizzoli 1978. Fu una sorta di premio riparatore. Io sono un autarchico, l’anno prima, era andato a un pelo dal vincere lo stesso premio. Era in testa ma senza la maggioranza assoluta dei giurati. Alla fine, pur di sbloccare uno stallo che si prolungava di votazione in votazione, due giurati cambiarono voto decretando la vittoria di Un cuore semplice di Giorgio Ferrara ed è inutile aggiungere che Moretti non la prese con filosofia.
Uno dei due giurati che avevano cambiato fronte, dichiaratamente, era Alberto Arbasino. L’altro è ancora ignoto ma lo sconfitto era convinto che si trattasse di Alberto Sordi, prima che lo stesso Sordi una ventina d’anni più tardi smentisse senza peraltro additare il vero “responsabile”. Alcuni spiegano così una delle battute più celebri e più citate di Ecce Bombo, quel poco rispettoso “Te lo meriti Alberto Sordi” che poteva suonare come una specie di vendetta. Forse lo era davvero ma forse no. A Moretti la commedia all’italiana, che fustigava sì i costumi ma con un tasso elevato di comprensione umana, doveva parere in quegli anni di estremismo etico giovanile, una specie di insulto e del resto poco dopo avrebbe attaccato duramente in tv proprio Mario Monicelli.
Nel decretare il successo di un film convergono molti elementi, alcuni apparentemente superficiali. Il titolo è uno di questi. Se si fosse chiamato Sono stanco delle uova al tegamino o Senza caviglie, due dei titoli che il regista aveva ipotizzato e poi scartato, forse avrebbe avuto un richiamo minore. Invece decise di adoperare il grido privo di significato di uno straccivendolo, che del resto compare nel film: “Ecce Bombo”. Un colpo di genio.