La testimonianza su Haaretz
Il dramma di Lior Atzili: “Hamas ha ucciso mio marito ma il vero nemico è Netanyahu”
Lior Atzili è stata per un mese ostaggio di Hamas. Su Haaretz racconta del periodo molto difficile che lei e suoi connazionali stanno vivendo dal 7 ottobre, aggravato da un governo che non ha come obiettivo il benessere dei suoi cittadini. Ma saranno le nuove generazioni a dare speranza per una prospettiva di pace
Esteri - di Umberto De Giovannangeli
Lior Atzili è una madre di tre figli del kibbutz Nir Oz, educatrice e insegnante di storia e di educazione civica presso la scuola media e superiore Nofei Habsor. È stata rapita nella Striscia di Gaza da Hamas il 7 ottobre e liberata durante l’accordo sugli ostaggi di novembre. Suo marito, Aviv Atzili, è morto per difendere il kibbutz; il suo corpo è stato portato a Gaza.
Così Lior su Haaretz: “Esattamente un anno fa, a settembre, una settimana prima che la scuola chiudesse per le vacanze di Sukkot, ho dedicato le mie lezioni mattutine al 50° anniversario della guerra dello Yom Kippur. Un giorno ho letto loro questo passaggio di un articolo scritto dal giornalista Arnon Lapid dopo la guerra: Voglio inviarvi un invito a piangere. Il giorno o l’ora esatta non è importante, ma il programma della serata, ve lo prometto, sarà avvincente: piangere. Piangeremo per ore e insieme. Io piangerò per i miei morti e tu piangerai per i tuoi. Durante tutta la guerra avrei voluto piangere, ma non ci sono riuscito. Ora funzionerà. Niente ci fermerà. Insieme piangeremo per i sogni da cui ci siamo svegliati, portati all’estremo, per le cose grandi che sono diventate piccole, per gli dei che hanno deluso e i falsi profeti che si sono elevati alla grandezza, per la mancanza di gusto, la mancanza di volontà, la mancanza di potere, per il presente che non ha un solo raggio di luce. E per il futuro che sarà completamente diverso. E ci compatiremo, perché siamo meritevoli di pietà. Una generazione perduta come la nostra per un popolo tormentato in una terra che divora i suoi abitanti”.
Di tempo ne è passato da allora, 51 anni, ma, annota amaramente Lior, “Nulla è cambiato. Lo scorso settembre eravamo nel bel mezzo del colpo di stato e sembrava che ci stessimo avvicinando al punto di non ritorno. Ho detto ai miei studenti che pensavo che, a differenza delle generazioni precedenti, la minaccia che la loro generazione avrebbe dovuto affrontare era una lotta interna per il carattere dello Stato di Israele. Mi sono soffermata a fare queste osservazioni, ma a 11 mesi dall’inizio di questa terribile guerra, credo di aver avuto ragione”. Una ragione che riporta Lior Atzili a quel giorno che ha sconvolto la sua vita, quella dei suoi cari, e di tutta Israele.
Racconta: “Il 7 ottobre è stato un giorno così orribile che ancora oggi dimentichiamo in parte che l’abbandono del Negev occidentale non è iniziato quel giorno: si trattava di una politica di lunga data. I fallimenti di quel giorno e quelli successivi sono tutti frutto dei governi Netanyahu e della loro condotta. Il peggior crimine di tutti è stato evitare un accordo che avrebbe riportato a casa tutti gli ostaggi. Questo non è il destino, ma la politica di un governo privo di valori morali e umanitari di base, un governo che è pronto a sacrificare i suoi cittadini sull’altare del suo continuo dominio”.
Quel giorno inizia il suo calvario. “Negli ultimi mesi – rivela Lior – ho avuto difficoltà a parlare del periodo in cui sono stata prigioniera di Hamas. La realtà che ho vissuto non è quella di coloro che sono ancora detenuti a Gaza. Nelle ultime settimane tutti noi, anche i più scettici, siamo stati testimoni delle orribili condizioni in cui sono tenuti gli ostaggi, dei loro brutali omicidi e del fatto che la pressione militare nella maggior parte dei casi li mette in pericolo. Tuttavia, non è per queste ragioni che credo fermamente che sia necessario concludere un accordo per la loro restituzione, immediatamente e a qualsiasi costo. L’obbligo fondamentale di uno Stato è quello di proteggere i propri cittadini. Nessuno ha il diritto di sacrificare la propria vita, né per ipotetiche ragioni di sicurezza né tanto meno per calcoli politici personali. Un governo che non celebra la vita umana e non accetta la propria responsabilità per il benessere dei residenti dello Stato è un governo che non ha più la legittimità di rimanere in carica”.
Una convinzione che unisce tante e tanti che hanno vissuto, direttamente o indirettamente, quella tragedia. Rimarca Lior: “Ori Danino era uno dei sei ostaggi uccisi da Hamas due settimane fa. Una settimana dopo, in una conversazione con la sua famiglia, il Primo ministro Benjamin Netanyahu ha parlato di quanto il suo cuore fosse spezzato da questi difficili incontri. Ciò che ci spezza il cuore, ancora di più, è l’assenza dei nostri cari che sono ancora in catene e la consapevolezza che coloro che erano seduti accanto a noi in cattività stanno tornando nelle bare”.
Il dolore e la speranza, s’intrecciano indissolubilmente nelle considerazioni finali di Lior. “Anche noi piangeremo e ci commuoveremo per essere rimasti tra coloro che non hanno volontà e potere. Ma non posso dire che non ci sia un raggio di luce nel presente: i nostri giovani sono il mio raggio di luce. Durante i miei lunghi giorni di prigionia, tra le cose che mi davano forza c’era il pensiero dei miei studenti. Il desiderio di tornare in classe, di far parte di nuovo della scuola e di partecipare alla festa di diploma dei miei alunni più grandi ha riempito i miei giorni e le mie notti di speranza e significato. Credo che il futuro sarà completamente diverso, deve essere diverso. I nostri giovani hanno capacità, hanno forza. So che sto ponendo su di loro un pesante fardello, il dovere di garantire che il nostro futuro in questo Paese sarà diverso. Sono fiduciosa – conclude Lior – che la generazione che crescerà qui sceglierà il bene”. Il bene della pace. Il bene d’Israele.