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Chi era Riccardo Lombardi: il leader socialista del riformismo vero, quello con gli artigli

Chi era Riccardo Lombardi: il leader socialista del riformismo vero, quello con gli artigli

Parliamo di Riccardo Lombardi, cioè di uno dei due leader socialisti impegnati sul piano della elaborazione teorica, che però non veniva fatta in modo astratto ma calata nel vivo della battaglia politica. Lombardi produceva teoria addirittura nel corso dei congressi, quando parlava a braccio, con una scaletta dell’intervento scritta sul retro di una scatola di cerini. I suoi discorsi dal palco partivano dalla riflessione su Lenin o su Rosa Luxemburg e poi arrivavano, con una logica consequenziale assai rigorosa, alle conclusioni politiche. L’altra personalità socialista dello stesso livello era Vittorio Foa.

Lombardi partiva dalla teoria per arrivare alle riforme da fare dall’alto, dallo Stato, per investire da esso la società e i rapporti di produzione. Foa invece, che condivise con Raniero Panzieri l’esperienza della rivista Quaderni Rossi con la tematica del controllo operaio, partiva dalla fabbrica per investire la società e da lì il governo e lo Stato. I due erano insieme così alternativi e così segnati da comuni problematiche – e allora era tale il gusto per il dibattito culturale – che finivano sempre al centro di tumultuosi congressi, segnati anche da livelli elevati di faziosità, tanto che spesso venivano fatti parlare uno dopo l’altro, Lombardi per esprimere le ragioni profonde degli autonomisti con un risvolto di stampo anticapitalista, Foa per quella parte della sinistra storica del Psi non dipendente dal Pcus come invece erano Valori e Vecchietti.

Lombardi e Foa erano degli eretici anche nelle loro origini, perché entrambi provenivano non dal Psi storico ma dal Partito d’Azione e dalla partecipazione alla Resistenza alla guida dei nuclei partigiani di “Giustizia e Libertà”. Questa origine azionista e giellina fu sempre rinfacciata a Lombardi, sia dai giornali confindustriali ai tempi dello scontro per la nazionalizzazione dell’energia elettrica, sia dai due dirigenti socialisti che più contrastarono Lombardi all’interno del Psi: uno fu Rodolfo Morandi, totalmente frontista e stalinista malgrado la sua originaria posizione luxemburghiana (Morandi dal ’45 in poi assunse quella posizione perché era convinto che si sarebbe arrivati alla Terza guerra mondiale e che essa sarebbe stata vinta dall’Urss alleata della Cina di Mao); l’altro avversario frontale di Lombardi fu Sandro Pertini che non sopportava l’eterogeneità della sua origine e gli rinfacciava di non provenire dal socialismo storico.

Sia Lombardi sia Foa, dicevamo, venivano dal Partito d’Azione e dal “giellismo” (GL, Giustizia e libertà) che aveva come originario fondatore quel Carlo Rosselli che fu un’autentica miniera di revisionismo e di modernità, sostenitore del socialismo liberale. Anche Rosselli, come Giacomo Matteotti, fu assassinato (in Francia) su mandato del governo fascista. Va detto che i fascisti furono molto lucidi nella scelta dei dirigenti socialisti da assassinare, perché sia Matteotti sia Rosselli erano portatori, nell’ambito dell’antifascismo e del socialismo, di posizioni assai forti e tali da rappresentare nel presente e nel futuro degli straordinari punti di riferimento. Sia per Matteotti, sia tanti anni dopo per Lombardi, si è parlato di riformismo rivoluzionario. Il riformismo rivoluzionario di Matteotti era concentrato nel sostegno del Psi alla lotta di classe nelle campagne. Più complesso, per qualche aspetto anche di stampo utopistico, il riformismo rivoluzionario di Lombardi concentrato sulla politica economica e sull’industria italiana. La sua ricaduta più forte politicamente e dirompente fu la lotta per la nazionalizzazione dell’energia elettrica e il sostegno alle proposte di Fiorentino Sullo, originario leader della sinistra democristiana, per la proprietà e l’uso del suolo pubblico.

Si trattava di alcune di quelle che allora venivano chiamate le riforme di struttura (siamo nei primi anni sessanta) le quali, nell’impostazione anche molto ideologica di Lombardi, concatenate una all’altra e sostenute dalle lotte operaie, avrebbero dovuto portare a una transizione dal capitalismo al socialismo. Comunque dal 1945-46 in poi, Lombardi fu sempre autonomo dal Pci, da una posizione di sinistra. Si batté contro il frontismo e lo stalinismo in nome di un’autonomia socialista distinta e distante dal Pci ma in nome di un riformismo “con gli artigli”, il riformismo rivoluzionario appunto, conflittuale con l’area moderata della Dc e con i grandi gruppi capitalistici. Così, dopo la disfatta del Fronte popolare del 18 aprile del ’48, (cioè della lista comune tra comunisti e socialisti), fu Lombardi a guidare la rivolta dell’autonomismo socialista (con Fernando Santi, Vittorio Foa, Giovanni Pieraccini, Alberto Jacometti e altri) e nel congresso del Psi di quell’anno gli autonomisti vinsero contro i frontisti – Nenni e Morandi – e i fusionisti – Lizzadri e Tolloy.

A dire il vero gli autonomisti vinsero di stretta misura anche l’assise del ’49, ma furono costretti a riconsegnare il partito a Nenni e a Morandi per la semplice brutale ragione che Nenni e Morandi erano finanziati dal Pcus e dal Pci, mentre gli autonomisti si ritrovarono senza una lira perché in quei tempi di ferro i partiti e le loro correnti interne o i soldi li prendevano da Valletta, dalla Cia, dalla Confindustria Alta Italia, oppure dal Kgb e dalle cooperative rosse: non esistevano finanziatori “terzaforzisti”, Casomai c’era in campo Enrico Mattei, che fondò con Albertino Marcora la “sinistra di base” nella Dc. Il paradosso fu che il chiarimento sullo stalinismo il Psi e il Pci lo fecero solo nel 1956-57 ma su input di quello che avvenne in Urss con il ventesimo congresso e col rapporto segreto di Krusciov contro Stalin. A ciò seguì però l’occupazione dei carri armati sovietici in Ungheria.

A quel punto le cose si chiarirono anche nella sinistra italiana. Togliatti ribadì il suo legame di ferro con il Pcus mentre Nenni riacquisì una posizione del tutto autonoma, e d’intesa con Lombardi aprì una nuova fase della vita politica italiana, che fu quella del centrosinistra fondata sull’incontro con la Dc di Fanfani, di Moro, della sinistra di base e di quella sindacale di Pastore e Donat-Cattin. In una prima fase l’area di centrodestra della Dc dovette subire il decollo del centrosinistra perché il centrismo era esaurito e quello che avvenne nel luglio del ’60 dimostrò che l’eventuale apertura della Dc all’Msi avrebbe portato a uno scontro frontale al limite della guerra civile. A quel punto Antonio Giolitti e Riccardo Lombardi, insieme agli amici del Mondo, definirono un’avanzata proposta programmatica come base del centrosinistra. Per Lombardi solo il programma giustificava il sostegno o la partecipazione dei socialisti a un governo della Dc. Invece per Nenni si trattava di un’operazione politica strategica fondata sull’incontro fra i socialisti e i cattolici.

Nella prima fase i dorotei, obtorto collo, accettarono le riforme avanzate – compresa la nazionalizzazione dell’energia elettrica – chiedendo però come garanzia l’elezione di Segni alla presidenza della Repubblica (elezione che avvenne nel 1962). In una seconda fase, però, i dorotei decisero di bloccare il riformismo e lo fecero ricorrendo a tutti i mezzi compreso quel “tintinnio delle sciabole” (estate 1964) di cui si è parlato a lungo e che fu denunciato anni dopo da Jannuzzi e da Scalfari su L’Espresso. A quel punto lo scontro politico si trasferì nel Psi. Per Nenni bisognava a tutti i costi rifare un governo di centrosinistra anche con un ridimensionamento delle riforme per evitare un governo dominato dalla destra economica e da quella politica; invece per Lombardi, in assenza delle riforme, il Psi doveva passare all’opposizione. Così Nenni pensò di riequilibrare la situazione realizzando anche l’unificazione tra il Psi e il Psdi. Ma il rimedio fu peggiore del male perché l’unificazione si realizzò su posizioni moderate sia dal lato del governo sia sul piano politico, perché il Psdi ormai era un partito di centro. Il fallimento fu accentuato dalla contemporanea esplosione del ’68 studentesco e del ’69 operaio. Lombardi fu molto sensibile al ’68 studentesco e ci furono anche incontri fra la sinistra lombardiana ed esponenti del mondo studentesco fra cui Adriano Sofri.

Pur rimanendo nel Psi, in alternativa al Partito socialista unificato, Lombardi lanciò l’ipotesi della ristrutturazione della sinistra avendo forti rapporti con l’area cattolica delle Acli e di Livio Labor. In seguito a un percorso politico assai tormentato, il Psi passò dalla vittoria nel 1974 nella battaglia sul divorzio alla sconfitta alle elezioni del ’76 anche a causa della linea demartiniana dei cosiddetti nuovi equilibri che si tradusse nella duplice subalternità alla Dc e al Pci. Tutto ciò portò al comitato centrale del Midas (che è il nome di un hotel) nel quale per un verso fu eletto Craxi in nome dell’autonomia socialista e per altro verso la sinistra lombardiana condizionò il suo appoggio con la scelta del partito dell’alternativa. Lombardi aveva molti dubbi nei confronti di Craxi, ma era d’accordo sulla linea della duplice autonomia nei confronti della Dc e del Pci. A sua volta il Pci non prese mai in parola il Psi che al congresso di Torino aveva scelto la via dell’autonomia e dell’alternativa, e invece contrappose ad essa quella del compromesso storico, cioè dell’accordo diretto tra la Dc e il Pci. Lombardi non condivise la fase successiva, cioè quella della governabilità e del ritorno del Psi al governo anche se quella fase fu caratterizzata da una iniziativa socialista assai più marcata di quella che c’era stata nei quattro anni dei governi Moro-Nenni del 1964-68.

Comunque nel 1981 la sinistra lombardiana passò all’opposizione nel partito. Lombardi mantenne ferma la linea dell’alternativa e della ristrutturazione della sinistra in polemica sia con Craxi ma anche con Berlinguer: il primo scelse di ristabilire rapporti con la Dc ma il secondo aveva l’obiettivo di sostituire il Psi proprio nell’incontro preferenziale con la Dc. Lombardi è stata una figura assolutamente straordinaria nella storia del Psi e della sinistra italiana. Per un verso egli è sempre stato autonomo dal Pci ma da una posizione di sinistra, in nome della più totale distanza dal Pcus ma anche in nome di un neutralismo indipendente dagli Usa. Su un altro versante egli fu uno dei pochi autentici riformisti sulla scena politica degli anni Quaranta-Sessanta, quando la definizione di riformista era un insulto, ma il suo era un riformismo rivoluzionario che aveva l’obiettivo di mettere in moto un meccanismo culturale ed economico-sociale che desse luogo a una transizione dal capitalismo a un socialismo libertario, un intreccio fra realismo e utopia. Un personaggio dallo straordinario fascino politico e personale (adesso si parla di carisma). Quel fascino che spesso ebbe come conseguenza il fatto che intervenendo in congressi socialisti, dove la sinistra lombardiana aveva circa il 10 per cento, alla fine del suo discorso tutti i congressisti scattavano in piedi, lo applaudivano e poi lo salutavano al canto di Bandiera rossa.