La guerra in Libano è iniziata. Come cyberguerra. È di otto morti e circa 2.800 feriti, di cui 200 in condizioni critiche, il bilancio delle esplosioni in Libano di cercapersone in dotazione a presunti militanti di Hezbollah. Lo ha reso noto il ministero della Sanità libanese, precisando che la maggior parte delle esplosioni hanno causato ferite alle mani e al volto. Tra le vittime, una bambina di 10 anni.
Pochi mesi fa, il 13 di febbraio, il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, aveva chiesto a tutti i membri del partito di smettere di usare telefonini, di distruggerli, seppellirli o chiuderli in una scatola di ferro. «In questa fase, sbarazzatevi di tutti i cellulari, sono agenti di morte», aveva dichiarato dopo l’uccisione di comandanti in raid mirati di Israele (dallo scorso sette ottobre più di 20 operativi sono morti in raid mirati lontani dalla linea del fronte, fra cui tre comandanti delle forze speciali Radwan). Il low tech è stata quindi la scelta obbligata di Hezbollah per evadere le sofisticate tecnologie di sorveglianza israeliane anche se il `partito di Dio´ basato in Libano ha anche lanciato operazioni per «accecare» Israele, le sue telecamere di sicurezza, i sistemi di telerilevamento, droni e la sua capacità di effettuare intrusioni nei cellulari e nei computer.
Sul campo di battaglia quindi, i cellulari hanno lasciato il posto ai pager, che oggi sono esplosi in tutto il paese forse dopo una nuova fornitura difettosa o un atto di sabotaggio ai server, con l’installazione di uno script che ha surriscaldato la batteria al litio che è quindi esplosa. Hezbollah ricorre anche a messaggeri o una rete di linea fissa che risale all’inizio degli anni duemila. È stato anche introdotto un codice per parlare di armi e luoghi di incontro che viene aggiornato quasi ogni giorno e trasmesso agli utenti da corrieri. I più alti responsabili della sicurezza israeliana sono stati convocati per un incontro d’emergenza con il governo. L’incontro è avvenuto dopo le esplosioni multiple in Libano e a Damasco, in Siria, in cui sono rimaste ferite 1.200 persone. Lo riporta Haaretz.
I cercapersone in dotazione a numerosi presunti militanti di Hezbollah esplosi in diverse zone del Libano e della Siria facevano parte di una nuova fornitura che l’organizzazione sciita libanese aveva appena ricevuto. Lo ha riferito il Wall Street Journal, citando persone a conoscenza della questione. Un esponente di Hezbollah ha precisato che questi dispositivi erano in dotazione a centinaia di operativi del gruppo, ipotizzando che un malware potrebbe aver causato il surriscaldamento e la loro esplosione. La stessa fonte di Hezbollah ha affermato che alcune persone hanno sentito i cercapersone riscaldarsi e se ne sono liberati prima che esplodessero. Hezbollah ha invitato i suoi membri, seguaci e familiari delle vittime dell’attacco israeliano odierno a non diffondere pubblicamente immagini dei feriti negli ospedali del Libano. Lo riferiscono media locali, riferendosi al timore del partito armato libanese che Israele possa identificare le vittime e nuovi potenziali obiettivi.
L’emittente Al Jazeera ipotizza (come scenario) che i cercapersone siano arrivati dall’Iran, il che porterebbe a pensare che gli israeliani abbiano agito all’interno della Repubblica islamica. Sarebbe un colpo ancora più micidiale, anche sul piano propagandistico. Sempre la tv qatarina è convinta che vi sia stato il ruolo di “un paese terzo”, indispensabile per sabotare il “ricevitore”. Un uomo alla cassa, distratto dal bip del cercapersone e subito dopo investito dall’esplosione del dispositivo attaccato alla cintura. La cassiera e un’altra persona anch’essi colpiti dalla deflagrazione: è quanto si vede in un breve filmato, diffuso poco fa dal Libano sui social network, di una delle decine di esplosioni di cercapersone ieri a Beirut. La (cyber) guerra è solo agli inizi.