La Commissione europea
Commissione von der Leyen, Ursula sposta Bruxelles a destra: il caso Fitto e i “falchi” del rigore e della guerra
Fuori dalla maggioranza, il fratello d’Italia Fitto diventa vice-esecutivo. All’austriaco Brunner, alleato dei nazisti di Fpo, la delega sui migranti
Esteri - di David Romoli
Ursula von der Leyen presenta la sua commissione, senza aver centrato la parità di genere ma avendo riequilibrato rispetto alle proposte iniziali degli Stati membri: le commissarie sono il 40%. C’è la vicepresidenza esecutiva per Raffaele Fitto, con deleghe alla Coesione e alle Riforme, nonostante il veto di Socialisti, Verdi e Liberali, cioè di tutti gli alleati del Ppe nella maggioranza che ha rieletto von der Leyen presidente. In Italia la maggioranza festeggia con un coro unanime mai così folto: “Successo del governo”, “Confermati ruolo e importanza dell’Italia”.
L’opposizione è gelida, ufficialmente tutti aspettano l’audizione del neo-commissario a Strasburgo per decidere come votare. In realtà la scelta è già fatta. Il Pd lo voterà, anche se a denti molto stretti. I 5S no, ma non per l’incarico appena assegnatogli: per la gestione molto insoddisfacente del Pnrr in patria. Avs neppure. I centristi di Renzi e quelli di Calenda si complimentano e voterebbero a favore se avessero una rappresentanza nell’europarlamento. Non ce l’hanno. I giornali di fatto d’opposizione fanno le pulci alla nomina, la definiscono vuota e poco significativa, un distintivo da sfoggiare ma inutile.
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Entrambe le tifoserie hanno una parte di ragione. La vittoria politica della premier italiana è netta e inconfutabile, soprattutto per come si è arrivati alla nomina. FdI e i Conservatori in genere avevano votato contro Ursula: in questi casi di solito si finisce ai margini, non al vertice della Commissione. Gli alleati del Ppe avevano messo un veto esplicito, minacciando di non votare i commissari del Ppe. Von der Leyen e il presidente dei popolari Weber li hanno ignorati. Di fatto la nomina di ieri allarga la maggioranza ai Conservatori e per la leader del governo italiano, di FdI e dei Conservatori stessi è un successo politico di prima categoria. Nel merito la delega di Fitto è rilevante ma non eccezionale, anche se la Coesione è una delega ricca con un fondo di 347 miliardi da stanziare. Di fatto la delega è identica a quella che aveva la commissaria uscente portoghese Ferreira, con in più, non citato esplicitamente il Pnrr. Se ne occuperà Fitto ma in tandem con il potentissimo falco lettone Valdis Dombrovskis. Nel complesso non un trionfo ma soprattutto a paragone della catastrofe di luglio un risultato che permette legittimamente alla premier italiana di cantare vittoria a voce spiegata.
La sinistra invece è all’angolo e le voci dal Pd lo ammettono per una volta apertamente, parlando addirittura di “cesura col passato”. Non si tratta tanto dell’approdo in maggioranza dei Conservatori ma della scelta delle deleghe fatta dalla presidente, che implica una virata complessiva a destra. Dombrovskis, con una sfilza di deleghe interminabile a partire dall’Economia, non è più vicepresidente esecutivo ma il suo potere sul versante economico, non precisamente secondario a Bruxelles, è quasi assoluto. Dovrà riferire solo alla premier, che con i conti non ha dimestichezza. Deciderà tutto il lettone al quale spetterà anche il compito di vigilare sul rispetto del Patto di stabilità. È il trionfo dei falchi rigoristi. L’Immigrazione è andata all’austriaco Magnus Brunner: è un popolare ma in Austria la delegazione del Ppe si è già alleata con la destra estrema e non è escluso che lo rifaccia se il 29 settembre arriverà al potere il Fpo, che non è come l’AfD tedesca ma un po’ peggio. Forse un bel po’ peggio. La Difesa va al lituano Andrius Kubilius. È del Ppe anche lui ma in materia di pace e guerra di quelli con l’elmetto in testa.
I socialisti hanno rischiato di perdere la delega alla transizione ecologica. Hanno tenuto duro ed è andata come richiesto alla spagnola Teresa Ribera, anche lei vice esecutiva come Fitto e altri 4 commissari. E’ una postazione centrale e nevralgica ma anche assediata non solo dalla destra europea, sempre più forte, ma dagli stessi popolari. Un’altra delega importante, quella per la Casa, è andata sì a un socialista, però di quelli paladini dell’austerità, lo svedese Jorgensen. La notizia peggiore, per l’Italia, è il ruolo centralissimo di Dombrovskis. Ieri il cdm ha varato il Piano strutturale di bilancio, però con le cifre ancora in bianco. Bisogna aspettare il 23 settembre e le stime finali dell’Istat su Pil, deficit e debito. Poi nella prima settimana di ottobre il Parlamento italiano discuterà e voterà il Piano che solo a quel punto, a metà ottobre verrà inoltrato a Bruxelles. Il governo spera in conti migliori del previsto per avere qualche margine di manovra in più nella manovra da 25 mld che sta faticosamente mettendo a punto.
Ma il Piano è molto più di questo. E’ la proposta di un percorso per il rientro nei parametri su deficit e debito, per un costo tra gli 11 e i 12 mld all’anno. L’Italia chiede di rientrare in 7 anni e la nuova Commissione, se uscirà indenne dal voto del Parlamento e stavolta non è detto, dirà di sì. Ponendo però come condizione alcune riforme strutturali e quello sarà l’oggetto della trattativa con Dombrovskis, un osso tra i più duri. L’ingresso di FdI e dei Conservatori in maggioranza migliorerà probabilmente un po’ il quadro. Ma appena appena. E la delega alle Riforme assegnata a Fitto è una mela avvelenata. Serve a vincolare col fil di ferro l’Italia al rispetto degli accordi sulle riforme che verranno stipulati. Saranno riforme dolorose e questa è al momento l’unica certezza.