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Meloni da Draghi e Confindustria: Giorgia recita la pièce centrista ed europeista

Meloni da Draghi e Confindustria: Giorgia recita la pièce centrista ed europeista

Mario Draghi rientra a palazzo Chigi, come ospite invitato dalla nuova inquilina, intorno alle 16. Resterà a colloquio con la nuova inquilina, con la quale peraltro non ha mai interrotto gli ottimi rapporti per un’ora e un quarto. È il primo incontro tra l’ex presidente della Bce e un capo di governo europeo dopo la diffusione di quel manifesto politico travestito da analisi tecnica che è il suo rapporto sulla competitività, commissionato da Ursula von der Leyen.

Avere invitato Draghi per discutere il rapporto illustrato 24 ore prima al Parlamento europeo, di fatto un percorso per la trasformazione radicale della Ue, è un gesto politico chiaro. La premier arrivata al governo sotto le bandiere del sovranismo si avvia a completare la sua metamorfosi in campionessa di un europeismo ancora critico ma non più nei confronti dell’Unione europea ma dei suoi limiti e delle sue insufficienze: non sarebbe esagerato affermare per la sua mancanza di europeismo reale. Un bel cambiamento rispetto alla Meloni di appena due anni fa.

La presenza della Meloni all’assemblea di Confindustria

In mattinata, la premier era stata ospite dell’assemblea di Confindustria e si è trattato solo di una comparsata di cortesia. La premier mira alla creazione di un’alleanza solida e stabile con gli industriali e non lo nasconde. Il nuovo presidente Emanuele Orsini la loda per la difesa del rigore sui conti pubblici, poi squaderna il listone delle sue richieste. Chiede che il taglio del cuneo fiscale diventi permanente e insiste per impostare subito gli investimenti, in particolare nel Sud, che dovranno seguire quelli del Pnrr. Reclama interventi fiscali rilevanti con un’aliquota premiale Ires per chi reinveste gli utili, l’abolizione dell’Irap e la reintroduzione dell’Ace ma promette in cambio sostegno nel falcidiare gli sgravi fiscali parassitari. Invoca l’adozione del nucleare di ultima generazione, “perché non possiamo continuare a pagare l’energia il 40% in più degli altri”. Si scaglia contro il Green Deal, in piena intesa – assicura – con le associazioni degli industriali di tutta la Ue, perché senza revisioni radicali minaccia di distruggere l’industria europea e il caso delle auto elettriche cinesi egemoni sul mercato sta lì a dimostrarlo. Esalta il rapporto Draghi che “ha riportato con profondità tutte le nostre istanze”.

La premier concorda in pieno. Certo, dedica buona parte del suo intervento al comizio di rito, all’elogio di se stessa e del suo governo, alla diffusione di una ventata d’ottimismo: “Possiamo fare meglio delle previsioni, il Pil all’1% è a portata di mano. Possiamo lasciare il mondo a bocca aperta: per troppo tempo abbiamo inseguito gli altri, è ora che gli altri inseguano noi”. Conferma l’intenzione di andare fino in fondo con tutte le riforme. Ma per quel che interessa gli industriali la convergenza è totale, a partire dall’impostazione di fondo: “Non disturbare chi vuol fare ma camminargli al fianco come alleato”, perché “a creare la ricchezza sono le aziende e i lavoratori, non lo Stato che deve solo creare le condizioni ambientali più favorevoli”. In particolare sul Green Deal Meloni sposa in pieno la crociata di Orsini e lo fa citando anche lei Draghi: “Il Rapporto sottolinea che le politiche ambientali europee devono essere accompagnate da investimenti, risorse e un piano di realizzazione, altrimenti vanno a detrimento della competitività e della crescita”.

La premier Meloni e gli equilibri in Europa

Quello che si è delineato ieri, del resto ampiamente preparato dall’esito della partita sulla commissione europea e dal riavvicinamento (ammesso che ci sia mai stato un allontanamento) tra Giorgia e la ora potentissima von der Leyen, è un orizzonte politico complessivo. Sul piano europeo uno slittamento verso l’asse strategico con il Ppe. Su quello interno l’alleanza con Confindustria e possibilmente con tutte “le forze produttive”. Tutto sotto lo stendardo di san Mario Draghi e della crociata (sua ma anche di von der Leyen, Letta e Lagarde) per rifondare l’Europa. Nel complesso è un orizzonte che somiglia appena a quello che indicava la leader di FdI quando non era ancora presidente del Consiglio, e se a garantire la sua trasformazione in sincera europeista fosse Draghi in persona tutto per lei diventerebbe molto più facile.

Per questo nel complesso, tra l’intesa con Orsini e l’incontro con l’ex presidente della Bce, quella di ieri è stata una giornata importante per la presidente del Consiglio reduce da un’estate tra le più difficili. Coronata, per coincidenza, dalla lettera di Marina Berlusconi che bolla le voci sui contrasti con la premier e con il ministro degli Esteri come “ricostruzioni senza il minimo contatto con la realtà”. Non c’è nulla di vero, assicura l’erede di re Silvio, nella presunta “disistima” dei Berlusconi per Giorgia e nella loro “scontentezza” per l’operato di Tajani. In entrambi i casi, “è vero esattamente il contrario”. Forse è davvero così. Forse è diplomazia. Ma in entrambi i casi la premier può tirare il fiato, almeno per un po’.