La nomina del commissario meloniano

Fitto, l’intruso nella Commissione Europea: l’ambiguità del suo ruolo e Meloni smentita dai trattati UE

Il suo partito (FdI) non ha votato von der Leyen, eppure si ritrova membro del governo europeo. Meloni dice che è lì per difendere gli interessi dell’Italia, ma il Trattato Ue afferma l’esatto contrario...

Politica - di Salvatore Curreri

20 Settembre 2024 alle 14:00

Condividi l'articolo

Fitto, l’intruso nella Commissione Europea: l’ambiguità del suo ruolo e Meloni smentita dai trattati UE

Solo apparentemente con la nomina di Raffaele Fitto a Commissario europeo le polemiche legate alla sua designazione sono destinate a cessare. E non certo perché essa deve passare dalle “forche caudine” dell’approvazione (a maggioranza dapprima dei due terzi poi semplice) della commissione parlamentare corrispondente alle sue deleghe, sull’esempio dell’advice and consent del Senato statunitense sulle nomine presidenziali. Nessuno, infatti, credo possa onestamente dubitare dei requisiti di competenza generale e di impegno europeo richiesti dall’art. 17.3 del Trattato sull’Unione europea. Insomma, nessun caso Buttiglione alle viste. Il problema è un altro: chi dovrà rappresentare Raffaele Fitto nella Commissione europea? È infatti a seguito della risposta a questa domanda che la sua nomina è stata contestata da parte di alcune forze politiche.

Per chi infatti considera la Commissione il Governo dell’Unione europea i suoi membri devono condividerne l’indirizzo politico. Di conseguenza, Raffaele Fitto, membro di un gruppo parlamentare che ha votato contro la nomina della presidente della Commissione non poteva entrare a farvi parte per incompatibilità politica. E in effetti, se si analizza la composizione della Commissione, non si può non notare come tra i 27 commissari designati Fitto rappresenti per così dire una nota stonata essendo, con il commissario ungherese e slovacco, tra i tre a non appartenere a gruppi che formano la cosiddetta maggioranza Ursula (Popolari, Socialisti, Renew europe). Sotto questo profilo, dunque, la nomina di Fitto costituisce un passo indietro rispetto a chi vorrebbe trasformare la Commissione in un governo europeo appoggiato da una coesa maggioranza parlamentare.

Ma non è stata questa la logica che ha prevalso. La presidente von der Leyen, rispondendo ad una specifica domanda, ha evidenziato che Fitto è stato nominato non per la sua appartenenza politica ma in considerazione del ruolo dell’Italia, come paese fondatore e membro di prestigio dell’Unione europea. Stesso concetto ribadito dalla presidente Meloni, però con una sfumatura in più non irrilevante: la nomina di Fitto deve essere appoggiata da tutti (sinistra inclusa) “perché non è il commissario del governo ma italiano”. Quindi Fitto è chiamato a rappresentare nella Commissione europea gli interessi dell’Italia (che poi questi coincidano con quelli del governo, è ovvio). Una sottolineatura che non sorprende. Tutti ricorderanno infatti le polemiche della stessa presidente Meloni contro (l’ex) commissario Gentiloni, accusato apertamente di non tutelare adeguatamente gli interessi italiani nella Commissione.

Il punto è che questa concezione per cui i commissari devono rappresentare all’interno della Commissione gli interessi nazionali è categoricamente smentita dal già citato art. 17.3 del Trattato dell’Unione europea secondo cui i commissari nominati devono offrire “tutte le garanzie di indipendenza”, senza sollecitare o accettare “istruzioni da alcun governo, istituzione, organo o organismo”. Tant’è che i commissari rimangono in carica per cinque anni, anche in caso di mutamento del Governo nazionale. Questo perché è la stessa Commissione che deve esercitare le proprie responsabilità “in piena indipendenza” promuovendo “l’interesse generale dell’Unione” e adottando “le iniziative appropriate a tal fine” (art. 17.1).

Non credo allora di fare la Cassandra di turno se penso che, presto o tardi, emergerà questa ambiguità di fondo del ruolo di Fitto all’interno della Commissione europea, combattuto tra il dover rispondere del suo operato al governo italiano, che lo considera rappresentante dei propri interessi al suo interno, e il dover agire in modo da esso indipendente nell’interesse superiore dell’Unione europea. Il problema è tutto qui e condensa tutta l’ambiguità di un organo – la Commissione – che non è ancora il Governo politico dell’Ue – formato sulla base di una corrispondente maggioranza parlamentare – ma nemmeno è un organo chiamato a rappresentare i governi nazionali, essendo da essi indipendente. Insomma, siamo tra il già e il non ancora. E la vicenda Fitto riassume esemplarmente questa ambiguità.

20 Settembre 2024

Condividi l'articolo