Il presidente dell’Istituto affari internazionali

Intervista a Ferdinando Nelli Feroci: “Fitto? Riconoscimento di facciata a Meloni, potere tutto nelle mani di Von der Leyen”

Draghi? «I governi Ue hanno apprezzato le sue raccomandazioni ma nessuno si è impegnato a seguirle, Meloni l’ha incontrato e lo stesso giorno ha usato parole molto diverse dalle sue», dice l’ambasciatore.

Interviste - di Umberto De Giovannangeli

20 Settembre 2024 alle 09:00

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Intervista a Ferdinando Nelli Feroci: “Fitto? Riconoscimento di facciata a Meloni, potere tutto nelle mani di Von der Leyen”

Una vicepresidenza della Commissione europea strappata per Fitto, la sfida di Draghi. E ancora: l’Europa latitante in Medio Oriente e ciò che resta della nostra vocazione mediterranea. L’Unità ne discute con l’Ambasciatore Ferdinando Nelli Feroci, presidente dell’Istituto affari internazionali (Iai), tra i più autorevoli think tank italiani di geopolitica e politica estera.

La “trappola di Ursula”. A Raffaele Fitto una vicepresidenza esecutiva ma un portafoglio di serie B. Ambasciatore Nelli Feroci, è una maliziosa forzatura giornalistica?
No. L’attribuzione a Raffaele Fitto di un ruolo di Vicepresidente è più che altro il riconoscimento che non si può fare a meno di un paese come l’Italia. Diciamo che questa nomina testimonia il superamento della crisi nei rapporti tra Meloni e von der Leyen provocata dalla decisione della presidente del Consiglio di contrastare l’elezione della von der Leyen e anche di Costa e della Kallas.
Dietro la decisione su Fitto, ovviamente concordata con la Meloni, c’è il desiderio di von der Leyen di far rientrare non solo l’Italia ma anche Fratelli d’Italia nell’ambito di una maggioranza che poi dovrebbe sostenerla al momento del voto in Parlamento quando si presenterà insieme a tutto il collegio per illustrare il suo programma di lavoro per il prossimo quinquennio.
Detto questo, quello attribuito a Fitto è più un riconoscimento di facciata…

Nel senso?
Nel senso che c’è sì l’attribuzione del ruolo di Vicepresidente ma il portafoglio assegnatogli è tutto compreso alquanto debole. La delega più importante è quella sulle politiche di coesione.
Politiche di coesione, ovvero la gestione dei fondi strutturali, significano, fino al 2028, controllo e monitoraggio sull’utilizzo dei fondi già allocati agli Stati membri nell’ambito dell’attuale programmazione di bilancio. A partire dal 2028, quando si avvierà la nuova programmazione finanziaria, il nuovo ciclo di bilancio europeo, a quel punto a fronte di una eventuale rimodulazione dei fondi strutturali il ruolo potrebbe diventare politicamente più interessante. Il resto delle competenze attribuite a Fitto, in una lunga e un po’ prolissa lettera di missione, sono tutte competenze cogestite, che lui deve condividere con altri commissari. In particolare, quella sul monitoraggio dell’attuazione dei piani nazionali di ricostruzione e resilienza. Poi c’è un accenno alla collaborazione che dovrà instaurarsi tra Fitto ed altri commissari competenti per l’agricoltura e per l’allargamento, ma sono indicazioni molto vaghe. Complessivamente, mi verrebbe da dire che per il modo come von der Leyen ha distribuito i compiti tra i commissari, l’assetto che ne emerge è quello di una presidente più forte ancora di prima, che di fatto accentra su di sé le responsabilità e i poteri maggiori, in un collegio che peraltro è composto in maggioranza da commissari nuovi e come tali meno esperti e in qualche modo “orientabili” da una presidente che ha già fatto un quinquennio e sa come si gestisce un collegio.

Da un lato la presidente del Consiglio impegnata nel piazzare alla meglio Fitto, dall’altro lato, Draghi con la sua visione sul futuro dell’Europa. Ambasciatore Nelli Feroci, è una Italia “bipolare”?
Quello presentato da Mario Draghi è un Rapporto molto ambizioso, che parte da una analisi spietata del declino dell’Europa e propone una serie di misure che dovrebbero servire per rilanciare la competitività, che sono concentrate in particolare su tre grandi asset tematici.

Quali?
Uno, è il recupero del ritardo accumulato nel settore dell’innovazione e delle nuove tecnologie. Il secondo, è il tema dei costi dell’energia e della necessità di conciliare la transizione green con l’imperativo della competitività. Il terzo, è il tema della sicurezza, che è al tempo stesso sicurezza economica e anche sicurezza politico-militare.
Il Rapporto individua anche due criticità su cui le indicazioni sono necessariamente generiche. La prima è quella che riguarda i costi. Draghi indica 800 miliardi di euro addizionali annui per i prossimi anni, ma come reperire queste risorse resta ancora un grande punto interrogativo. La seconda criticità è quella dei meccanismi decisionali dell’Unione. Anche qui l’analisi è corretta, ma le indicazioni per superare queste criticità sono piuttosto deboli. E qui verrà in rilievo il ruolo dei governi. Tutti i governi dell’Unione, con più o meno entusiasmo, hanno espresso apprezzamento per questo Rapporto, però nessuno si è apertamente impegnato a dare seguito a queste raccomandazioni di policy. Anche Meloni, ricevendo Draghi, ha voluto lanciare un messaggio di sostanziale adesione agli obiettivi del Rapporto e delle raccomandazioni in esso contenuti, poi vedremo nella pratica. Va rilevato che nello stesso giorno in cui riceveva Draghi, la presidente del Consiglio è stata molto critica del green deal europeo e ha usato un linguaggio molto diverso da quello di Draghi, quando lui afferma che la transizione energetica è un imperativo che va seguito, anche se va reso compatibile con la competitività. Su questo, Meloni è sembrata molto più critica rispetto agli impegni europei in materia di contrasto del cambiamento climatico. Dovremmo vedere il governo italiano e gli altri governi europei alla prova dei fatti su queste raccomandazioni di Draghi che sono molto ambiziose e che guardano molto al futuro dell’Europa.

Una discussione sul futuribile mentre il mondo esplode: dall’Ucraina al Medio Oriente. L’Europa balbetta, latita.
Qui direi che va fatto un distinguo. Sull’aggressione russa all’Ucraina l’Europa ha mantenuto una posizione tutto sommato compatta, unitaria, molto facilitata dalle decisioni dell’amministrazione americana, con qualche divisione emersa ultimamente sugli aiuti militari e sulla possibilità di utilizzare gli armamenti forniti dagli occidentali sul territorio russo…

E sul Medio Oriente?
Su questo fronte, l’Europa ha brillato per latitanza. Abbiamo visto in più di un’occasione i paesi dell’Unione europea dividersi in tre posizioni differenziate, per esempio su risoluzioni votate dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Alcuni paesi europei riconoscono lo Stato di Palestina, altri sono molto restii a una iniziativa di questo tipo. Va rimarcato un dato di fondo: molto più che su altri temi di politica estera, il conflitto israelo-palestinese è divisivo fra gli Stati membri dell’Unione. Le posizioni nazionali su questo tema sono molto differenziate e difficilmente conciliabili. Tutto questo porta di fatto a una paralisi della capacità della Ue di proporsi come protagonista negoziale di questo conflitto. Va pure detto che neanche questa amministrazione americana, che pure si è molto impegnata per favorire un cessate-il-fuoco a Gaza, una soluzione del problema degli ostaggi con lo scambio con i prigionieri palestinese, anche per impedire l’escalation sul fronte settentrionale, quello con il Libano, neanche l’amministrazione Biden è riuscita ad ottenere finora risultati concreti. La situazione è davvero molto complicata soprattutto in presenza di un governo israeliano che non mostra alcuna disponibilità alla ricerca di una soluzione diversa da quella militare.

Ambasciatore Nelli Feroci, cosa resta di quella “vocazione mediterranea” che un tempo era il vanto della politica estera dell’Italia?
Il tema dei rapporti con la sponda Sud del Mediterraneo è molto complicato, al di là della retorica che ha sempre voluto configurare l’Italia come il ponte tra l’Europa e il sud del Mediterraneo. Ci sono delle oggettive difficoltà a dare concretezza a questa idea del “ponte”. Ci sono situazioni particolarmente difficili da gestire…

Ad esempio?
Penso alla Libia, che resta una crisi irrisolta che da anni ci trasciniamo senza prospettive di soluzione, con una permanente instabilità che rischia di diventare un fattore dirompente negli equilibri della regione. Con altri paesi il governo è riuscito a stabilire un rapporto tutto compreso abbastanza costruttivo, rinunciando, però, a certe posizioni di principio, ad esempio in materia di rispetto dello stato di diritto e delle libertà fondamentali, ottenendo in cambio collaborazione nella gestione dei flussi migratori, penso al caso della Tunisia. Quanto all’Algeria, siamo riusciti a trasformarla nel nostro principale fornitore di energia, ma anche qui dobbiamo fare i conti con un paese che lascia molto a desiderare sotto il profilo dello stato di diritto e di una democrazia funzionante secondo i nostri standard. È molto difficile trovare una omogeneità nella situazione dei vari paesi, ed è ancora più difficile che l’Italia possa da sola svolgere un ruolo visibile rispetto a questa regione. Avrebbe interesse a farlo ma dovrebbe in qualche modo coinvolgere per lo meno il resto dell’Unione europea che mi sembra molto restia ad impegnarsi seriamente, efficacemente su quest’area. In ultimo, vorrei tornare sul peso dell’Italia a Bruxelles. Un peso che non si misura solo nel portafoglio del commissario ma in ambiti meno visibili ma per certi versi ancora più sostanziali nella “tecno-burocrazia” europea. Qui l’Italia sembra affondare. Uno dei molti ingredienti per un’azione efficace in Europa è indubbiamente quello di avere italiani in posti chiave, a partire dal commissario ma anche negli apparati della Commissione, nello stesso Parlamento europeo che molto spesso si trascura ma che è diventato un attore importantissimo dei processi decisionali dell’Unione. Bisognerebbe fare di più e meglio, far crescere e sostenere nuove generazioni di giovani italiani che siano disponibili e desiderosi di impegnarsi nelle istituzioni europee.
Il secondo tema cruciale, oltre quello del personale italiano, riguarda le alleanze. Scegliere i partner giusti per ottenere in Europa risultati che siano corrispondenti ai nostri interessi nazionali, cercando di capire chi conta in Europa, chi può fare la differenza, chi invece è marginale, chi può avere interesse convergenti con i nostri oppure divergenti. Least but non last, essere presenti nell’elaborazione dei provvedimenti fin dall’inizio, dalla fase delle consultazioni che la Commissione fa prima di presentare la proposta e non cercare di rimediare in extremis quando il provvedimento ha già fatto molta strada ed è vicino all’approvazione. Essere coinvolti nei processi decisionali dell’Unione fin dalle primissime battute, quando ancora si tratta di definire i contorni e gli obiettivi di un certo provvedimento.

20 Settembre 2024

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