Non è detto, non esistono report o dati in grado di confermare, ma Iwao Hakamada potrebbe esser stato l’uomo per più tempo detenuto in un braccio della morte al mondo. Dopo 56 anni è stato assolto. A 88 anni, dopo un’accusa per omicidio e una condanna a morte. Sulla vicenda, in Giappone, da sempre erano stati sollevati dubbi e perplessità. “Free Hakamada Now” uno degli slogan riverberato anche ieri, in occasione dell’udienza del processo, di chi ha seguito la vicenda facendo del suo protagonista un simbolo della malagiustizia e della campagna per abolire la pena capitale in Giappone.
Hakamada, ex pugile, era un dipendente di un’azienda produttrice di miso, soia fermentata. Cominciò tutto il 30 giugno 1966, quando esplose un incendio nella casa di uno dei capi della società. All’interno dell’abitazione la polizia trovò i corpi dell’uomo, della moglie e dei due figli della coppia. Le vittime erano state tutte accoltellate a morte. E dalla casa erano spariti 20mila yen in contanti. I sospetti ricaddero subito su Hakamada, che in un primo momento confessò l’omicidio.
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Almeno prima di ritrattare tutto, denunciando le violenze subite che avevano portato alla confessione. 264 ore di interrogatorio in 23 giorni. Poche e poco convincenti anche le prove a sostegno dell’accusa. La prima condanna era arrivata nel 1960: condanna a morte. Gli avvocati presentarono diversi ricorsi contro la condanna e l’ex pugile fu giudicato colpevole da cinque corti diverse. La condanna fu confermata nel 1980 dalla Corte Suprema giapponese. Alcuni test del dna nel 2008 e nel 2012 hanno dimostrato che le macchie di sangue ritrovate su un pigiama non appartenevano all’ex pugile. Hakamada è uscito di prigione nel 2014 in attesa di condanna e nel 2018 l’Alta Corte di Tokyo ha confermato la condanna concedendo all’imputato di restare libero per motivi anagrafici.
Il caso riaperto di Hakamada
Il caso è stato riaperto nel marzo del 2023 il tribunale distrettuale di Shizuoka, a ovest di Tokyo. I dubbi sulla vicenda che hanno attraversato la società giapponese, e che hanno generato un movimento contrario alla pena di morte che ha trovato nell’ex pugile un simbolo perfetto, hanno sempre impedito che la pena capitale venisse applicata. Nessun ministro della Giustizia ha mai firmato il decreto di condanna a morte. Anche ieri centinaia di persone hanno atteso davanti al tribunale di Shizuoka, per cercare di ottenere un posto per il verdetto atteso nel primo pomeriggio. “Si è trattato di una manipolazione delle prove”, ha dichiarato infine il giudice Koshi Kunii.
In Giappone la pena di morte è ancora in vigore. L’unico metodo consentito è tramite impiccagione. I politici non affrontano il tema, non sembrano avere alcuna intenzione di abolire la pena capitale. E secondo alcuni sondaggi la maggior parte della cittadinanza è contraria alla cancellazione. “Sono assolutamente certo che verrà assolto – diceva ai giornalisti un sostenitore di Hakamada ieri – Ma una parte di me non riuscirebbe a festeggiare pienamente l’assoluzione. Il suo caso è un doloroso promemoria di come deve cambiare il sistema di giustizia penale giapponese”. Ancora presto per parlare di un prima e un dopo il caso Hakamada, sulla pena di morte in Giappone, ma questo movimento è qualcosa da non sottovalutare.