L'avvocato infligge due colpi al Pd
Il campo largo si è ristretto, Conte fa da stampella a Meloni su Rai e referendum: i 5 Stelle guardano a destra
Dem e centristi si astengono sul cda di Viale Mazzini, il M5s elegge un consigliere. E sul referendum niente firma. L’avvocato del Popolo ammicca a destra
Politica - di David Romoli
Conte fa blocco con la sinistra Avs sulla Rai mollando il Pd “aventiniano” in compagnia solo di Renzi e Calenda: anche peggio che arroccarsi sul noto Colle romano in dorata solitudine. L’avvocato del popolo si porta a casa un consigliere d’amministrazione Rai, Alessandro Di Majo, mentre i rossoverdi incassano la carica per l’intramontabile Roberto Natale, già portavoce di Laura Boldrini. Passano entrambi con un pugnetto di voti ma è l’accordo con la destra: ciascuno si vota i suoi consiglieri, per la destra Federica Frangi (FdI) e Antonio Marano (Lega), e la controparte si astiene. Il Pd e i centristi non ci sono e meglio così.
Fresco di coltellata alle spalle della povera Elly, che non se lo aspettava, Conte l’Unitario corre a presentare il quesito referendario contro l’autonomia: tutti insieme appassionatamente ma Schlein e Conte nella immancabile foto di scena si piazzano non a caso ben distanti e non si guardano per non immortalare il ringhio. Conte l’Unitario, Conte il Compagno sbilanciato a sinistra. Ma anche il Conte che guarda a destra se si tratta di immigrazione e nega la compromettente firma per il referendum cittadinanza, figurarsi, lui che dello Ius Soli non è mai stato convinto, e che per quanto il Pd insista non si smuove dall’equidistanza fra Trump e Kamala Harris. Senza dimenticare Conte il Pacifista, che riesce così a stare da entrambe le parti: con la sinistra contraria alle bombe perché contraria alla guerra e con la destra europea contraria alle bombe perché vicina a Putin. Tombola.
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Conte sta dappertutto tranne che dove rischia di ritrovarsi troppo vicino al Pd e rispolvera l’antica strategia pentastellata: pescare voti anche a destra garantendo a quell’elettorato rappresentanza anche in un centrosinistra che ancora deve nascere e già è malridotto, o per dirla alla romana smandrappato. La pace apparente nel Campo Largo seguita alla sconfitta elettorale dei 5S alle europee è durata sì e no un’estate. Giusto il tempo necessario a Conte per dotarsi di una nuova strategia e tornare alla guerriglia di sempre. Del resto ormai ha un modello vincente a cui guardare in Europa: Sahra Wagenknecht e il suo Bsw, partito di sinistra che però guarda a destra sui temi nevralgici e dall’elettorato di destra probabilmente raccoglie parte del cospicuo bottino elettorale. Certo Sahra è una marxista con radici e cultura che affondano davvero a sinistra, questo del M5S ex alleato della Lega non si potrà mai dire ma sono particolari. Essenziale è il modello e il modello è la trasmigrazione dall’antico e desueto “Né di destra né di sinistra” a un nuovo e sgargiante “Sia di sinistra che di destra”. E se l’alleata mastica amaro poco male. Se ne farà una ragione perché di Conte ha bisogno e tra l’altro con la mossa di ieri sul tavolo Rai lo spregiudicato leader pentastellato è riuscito a incrinare per la prima volta un asse Pd-Avs che, Ucraina a parte, sembrava infrangibile.
In parte il nuovo attivismo sabotatorio dell’ex premier è dovuto alla sfida con Grillo. Deve pur dimostrare di non essere e di non aver alcuna intenzione di diventare un cespuglio del Pd e anche, in fondo, che la scelta di campo nel centrosinistra non implica affatto lo spostarsi davvero a sinistra. Però non c’è solo questo. L’ex “insostituibile”, come lo definivano nel Pd di Zingaretti non molto tempo fa, non ha mai accettato il ruolo di alto ufficiale nell’esercito di Elly e neppure vuole fare la parte che a destra spetta a Salvini: molto rumore, nessuna sostanza. La parte in commedia che si era ritagliato prima del congresso del Pd, occupare l’ala sinistra di uno schieramento in cui il Pd avrebbe coperto il centro, gli è svanita tra le mani con l’elezione a sorpresa dell’outsider Schlein. Su quel fronte, anzi, la concorrenza è sin troppo folta: la stessa Elly, spedita dagli elettori non Pd alla guida del Nazareno proprio con la missione di tornare per quanto possibile a farne un partito di sinistra, ma anche Avs che dalle europee in poi naviga con il vento in poppa e sogna di insidiare ai 5S anche il secondo posto nella coalizione. Ma un partito collocato stabilmente nel centrosinistra però capace di cavalcare temi di destra, quello ha di fronte territori vergini in abbondanza.
Sul fronte Rai, dopo aver incassato il suo consigliere d’amministrazione, Conte eviterà adesso di portare lo strappo alle estreme conseguenze garantendo in commissione di vigilanza il numero legale necessario per eleggere presidente Simona Agnes, indicata dal Mef con Giampaolo Rossi come direttore generale. Terrà duro e Giorgia dovrà lavorare col pallottoliere. Agnes (Fi) è fortissimamente spinta da Gianni Letta. Servono 27 voti, la destra ne ha 25 ma c’è Gelmini, appena tornata all’ovile, e anche il voto Svp potrebbe arrivare in dono come sinora è sempre successo. A quel punto mancherebbe un solo voto e molti nel Pd temono che Conte a quel punto ci ripensi. È possibile ma improbabile. Senza i 27 voti in Vigilanza la premier dovrà inventarsi un presidente di garanzia e ad assumersene il merito, nel caso, sarà proprio Giuseppe Conte