L'analisi del giornalista su Haaretz
L’identità di Israele è la guerra: dopo aver eliminato Nasrallah, invade il Libano
«Complicità americana per il massacro a Gaza. Biden e Blinken impotenti di fronte a Netanyahu. L’identità di Israele è la guerra e la violenza sfrenata?»
Esteri - di Umberto De Giovannangeli
Controcorrente. Una scelta di vita, oltre che professionale. Controcorrente e con la schiena dritta, anche quando, soprattutto quando, ciò significa destrutturare criticamente la psicologia di una nazione. Uno sforzo enorme che Gideon Levy porta avanti da sempre. Anche oggi, quando Israele è ebbro di vittoria per l’uccisione del capo di Hezbollah, Hassan Nasrallah.
Annota, su Haaretz, Levy: «Un giornalista di Channel 13 News ha distribuito cioccolato ai passanti nella città di Carmiel sabato mattina, in diretta televisiva. Un giornalista dei mass media, che non ha la minima idea del suo lavoro, ha distribuito cioccolata a persone esauste che non ricordano un Israele diverso. Mai prima d’ora la cioccolata era stata distribuita in diretta su un omicidio mirato. Mai prima d’ora eravamo caduti così in basso. Un altro giornalista, molto più importante e popolare – Ben Caspit, un rappresentante del finto “centro moderato” – ha scritto su X: “Il leader di Hezbollah Hassan Nasrallah è stato schiacciato nella sua tana ed è morto come una lucertola… Una fine appropriata”. Come se il bunker l’avesse sfondato lui stesso». Levy definisce tutto questo “patriottismo barbaro”.
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Levy: “Patriottismo Barbaro”
Spiega: «Questo patriottismo barbaro ha alzato la testa sabato, Israele ha gioito. I nazisti chiamavano gli ebrei “topi” e Nasrallah è una lucertola. Chi potrebbe avere da ridire? I fascisti più estremisti erano ancora rintanati nelle loro sinagoghe, in attesa delle tre stelle al tramonto per vomitare le loro bestemmie e la loro gioia malata, ma nel frattempo il decente e illuminato Ben Caspits ha svolto il suo lavoro in modo ammirevole. “Shehehianu vekiamanu”, ha scritto uno, riferendosi a una preghiera di gratitudine – un sentimento sentito da molti. L’entità delle morti causate dalle 80 bombe americane non è ancora chiara, ma i numeri non avranno alcun effetto in Israele: 100 o mille civili innocenti, persino la morte di decine di migliaia di bambini, non cambierà nulla nello stato d’animo israeliano. Perché non una piccola bomba atomica? Dopo tutto, abbiamo ucciso Hitler».
Ed ancora: «Non è necessario essere un guastafeste seriale per mettere in discussione la gioia e le sue ragioni. La situazione di Israele è migliore domenica mattina rispetto a venerdì mattina? Lo stato d’animo della maggior parte degli israeliani si è risollevato dopo un anno cupo; siamo tornati a venerare i militari (tutti) e a venerare il primo ministro Benjamin Netanyahu (non tutti), ma cosa è cambiato? Hassan Nasrallah era destinato alla morte perché era un acerrimo nemico di Israele (e del Libano). La sua uccisione non salverà Israele». No, non lo salverà. Anzitutto da se stesso e dal governo peggiore della sua storia.
La guerra è sul punto di allargarsi in Cisgiornania
«Nella nostra prima settimana senza Nasrallah – avverte Levy – faremmo bene a guardarci intorno. La Cisgiordania è sul punto di esplodere; Israele è bloccato in una Gaza in rovina senza alcuna uscita in vista, così come gli ostaggi; Moody’s ha declassato l’economia al ribasso; il massacro di massa iniziato a Gaza si sta spostando in Libano. Mezzo milione di persone sono state sfollate dalle loro case, oltre a 2 milioni di loro compagni nella Striscia che vagano qua e là, indigenti. Ma ehi, abbiamo ucciso Hitler. È meglio non menzionare nemmeno la posizione internazionale di Israele; è bastato guardare l’Assemblea generale delle Nazioni Unite, durante il discorso di Netanyahu di venerdì. Anche la situazione della sicurezza è più incerta di quanto sembri. Aspettiamo la guerra regionale che potrebbe ancora scoppiare; venerdì abbiamo fatto grandi passi avanti verso di essa. Nel frattempo, il Paese vive nel terrore; la giornata di venerdì non ha portato le decine di migliaia di persone sfollate dalle loro case nel nord, nemmeno a un passo dal ritorno, ma Israele gioisce per la caduta del suo nemico».
Qui Levy tocca un nervo scoperto, estremamente dolente, che chiama in causa l’identità stessa d’Israele, la visione di sé, del suo ruolo in Medio Oriente e nel mondo. E le conclusioni a cui giunge fanno riflettere e allarmare. Osserva Levy: «Nell’ultimo anno, Israele ha parlato una sola lingua, quella della guerra e della forza sfrenata. È sconcertante pensare che milioni di persone hanno perso tutto per questo. Mentre gli attentatori bombardavano Dahiyeh, tra gli applausi di Israele, milioni di persone a Gaza, in Cisgiordania e in Libano piangevano amaramente la loro sorte, per i loro morti, per i mutilati, per i beni perduti e per la perdita degli ultimi brandelli della loro dignità. A loro non è rimasto nulla». «Questa è la realtà che Israele sta promettendo. Nasrallah vivo o morto, un giorno il vulcano esploderà. Dipendendo dall’America, complice servile del massacro di Gaza e della guerra in Libano – che non ha fatto nulla per evitarli, se non il servizio a parole del presidente Joe Biden e del segretario di Stato Antony Blinken, impotenti di fronte a Netanyahu. Israele pensa di poter andare avanti così per sempre. E non vede altre opzioni».
Netanyahu sa, soprattutto nell’imminenza delle elezioni presidenziali Usa, di tenere in pugno l’alleato decisivo, che, nonostante i mal di pancia di Biden, continua a fornire di armi il “già iper-armato Israele”. «Procedere nella “guerra per sempre”», rimarca Levy, sarebbe impossibile senza il sostegno di Washington. L’America non resterà così per sempre, viste le sue tendenze isolazioniste. Cosa succederà allora? Congratulazioni per l’uccisione di Nasrallah, mazel tov, il suo successore sta aspettando dietro le quinte e, a giudicare dall’esperienza passata, sarà ancora più pericoloso. «E Israele? Ucciderà anche lui e distribuirà cioccolata ai passanti».