L'attivista e giornalista siriana
Intervista a Wafa Mustafa: “Siriani svenduti, anche l’Italia aiuta il tiranno Assad”
«Ristabilire i legami diplomatici con un dittatore che uccide, tortura e terrorizza il suo popolo è un tradimento della lotta della Siria per la libertà. L’Europa parla di diritti umani ma pensa solo ai propri interessi: è il retaggio coloniale», dice l’attivista e giornalista siriana, che sabato sarà ospite del festival di Internazionale
Interviste - di Umberto De Giovannangeli
Wafa Mustafa è una giornalista e attivista siriana che si occupa dell’impatto della detenzione su ragazze, donne e famiglie. Attività che in certe parti del mondo, come il mattatoio siriano, può costare la libertà e la vita. Dopo la sparizione forzata di suo padre da parte del regime di Damasco, Wafa Mustafa ha esercitato numerose pressioni sul Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite affinché venissero resi noti i nomi e i luoghi di tutti i prigionieri delle autorità siriane. Wafa Mustafa sarà ospite di Internazionale a Ferrara – il festival di giornalismo organizzato dall’omonima rivista e giunto alla sua XVIII edizione, in programma nella città estense da venerdì 4 a domenica 6 ottobre – nella giornata di sabato 5 ottobre (ore 14, Cinema Apollo) quando prenderà parte all’incontro Giustizia per raccontare la lotta del territorio siriano alla repressione da parte del regime di Assad in seguito alla rivoluzione del 2011.
Ricorda, in un dettagliato report, Amnesty International: “Il governo siriano ha continuato a sottoporre decine di migliaia di persone, inclusi giornalisti, difensori dei diritti umani, avvocati e attivisti politici, a sparizione forzata, molti anche da più di 10 anni. Secondo la Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite, le autorità del governo siriano hanno continuato a torturare e altrimenti maltrattare i detenuti attraverso varie tecniche come “scosse elettriche, bruciature di parti del corpo e l’essere infilati dentro a uno pneumatico d’auto (dulab) e sospesi da terra per uno o entrambi gli arti per periodi prolungati (shabeh), pratica cui spesso si accompagnavano dure percosse inflitte con vari strumenti, come bastoni e cavi”. Wafa Musafa aiuta tutti noi a non dimenticare. E a non essere complici, silenziandola, di una delle più immani atrocità che marchiano a sangue la storia del Medio Oriente.
Siria martoriata. Siria dimenticata. Un Paese in macerie, un popolo stremato. Cosa è oggi la Siria?
La Siria oggi è una terra schiacciata sotto il peso di una dittatura brutale che ha messo a tacere il suo popolo con bombe, armi chimiche e prigioni progettate per la tortura. Ma è anche un simbolo dell’ipocrisia e del tradimento dell’Occidente. Non è solo un Paese in macerie, è una nazione abbandonata alla dittatura e alla devastazione mentre il mondo guarda dall’altra parte. Il regime di Assad continua il suo regno di terrore, ma chi gli ha dato il potere? Chi ha permesso che ciò accadesse? I governi occidentali che sostengono di essere a favore dei diritti umani e della democrazia sono stati i primi a lavarsi le mani della Siria, lasciando che il suo popolo venisse massacrato. Non si tratta solo della distruzione della Siria, ma dei sistemi di potere globali che permettono ai dittatori di prosperare mentre schiacciano le rivolte popolari. La Siria è la storia di interessi coloniali travestiti da diplomazia, un campo di battaglia dove le potenze occidentali giocano a fare politica con le nostre vite, sostenendo di essere spettatori.
La perdita di memoria non riguarda solo i media. La comunità internazionale non è da meno. La Lega Araba ha riabbracciato il “macellaio di Damasco”, Bashar al-Assad. L’Italia sta riaprendo la sua ambasciata.
Questa perdita di memoria non è accidentale, ma deliberata. I governi occidentali, insieme ai loro alleati arabi, si stanno cinicamente riavvicinando ad Assad perché ciò fa comodo ai loro interessi geopolitici. Non lasciamoci ingannare: la nomina di un nuovo ambasciatore da parte dell’Italia non è una questione di diplomazia, ma di convenienza politica. La Lega Araba e i Paesi come l’Italia stanno dando manforte a un dittatore che ha usato armi chimiche sul suo stesso popolo, ha torturato a morte decine di migliaia di persone e ha bombardato intere città fino a sottometterle.
È uno schiaffo alle famiglie delle persone scomparse e uccise. Questi governi non stanno solo dimenticando: stanno scegliendo di premiare un criminale di guerra. È un rafforzamento dell’autoritarismo, che dimostra come i leader arabi si preoccupino più di sostenere i loro compagni tiranni che di proteggere il loro popolo. L’Europa e l’Occidente sono complici anche di questo. I loro appelli alla “stabilità” sono un sostegno poco velato a regimi brutali che mantengono lo status quo, proteggono gli interessi corporativi e controllano la migrazione ad ogni costo. La cosiddetta comunità internazionale ha svenduto i siriani per convenienza politica, permettendo all’impunità di Assad di prosperare.
Una delle pagine più tragiche di una tragedia senza fine è rappresentata dalle decine di migliaia di persone torturate e fatte sparire nelle prigioni del regime.
Gli scomparsi sono la ferita aperta della Siria. Ogni famiglia siriana ha provato il terrore di sentir bussare alla porta nel cuore della notte, di veder scomparire un proprio caro nelle camere di tortura di Assad, per non fare più ritorno. Queste sparizioni e questi campi di tortura sono gli strumenti stessi di un regime che è stato sostenuto dall’indifferenza e dalla complicità internazionale. Le prigioni di Assad sono uno strumento coloniale moderno, dove i corpi vengono spezzati e le voci messe a tacere per mantenere il controllo. L’Occidente finge di preoccuparsi dei diritti umani, ma perché ora stringe la mano allo stesso regime che un tempo condannava? È semplice: queste vite non sono importanti per loro. Per l’Europa e l’Occidente, i siriani, come tanti altri popoli colonizzati in precedenza, sono sacrificabili, semplici collaterali in un gioco di potere globale. Non si tratta solo delle persone scomparse, ma di un ordine mondiale che permette ai tiranni di operare nella più completa impunità, finché serve ai loro interessi. Il mio stesso padre è scomparso per mano del regime e l’agonia di non conoscere la sua sorte è insopportabile. Questa è una tattica deliberata del regime: spezzarci, riempirci di paura. Il mondo parla di riconciliazione, ma come può esserci pace quando centinaia di migliaia di siriani stanno ancora marcendo nelle prigioni, sottoposti a torture che sfidano la comprensione? Questa non è solo una pagina tragica: è il cuore del governo di Assad: il potere viene mantenuto attraverso il terrore, la crudeltà e la scomparsa.
Alcuni hanno definito il lungo e sanguinoso conflitto in Siria come una guerra per procura. Lei, che l’ha vissuta e raccontata in prima persona, come la definirebbe?
Non è facile per me etichettare la situazione in Siria con un solo termine. Chiamarla “guerra per procura” mi sembra troppo semplicistico, troppo comodo, un termine creato per ridurre una realtà profondamente complessa e brutale a qualcosa di tecnico. È vero che potenze straniere come l’Iran, la Russia e gli Stati Uniti hanno fatto i loro giochi sanguinosi in Siria, ma in fondo si tratta di una guerra di sopravvivenza contro un dittatore che non si fermerà davanti a nulla per mantenere la sua presa sul potere. Questa guerra ha molti strati. È una rivoluzione schiacciata sotto il peso di una brutale repressione, una lotta per la libertà e la dignità che si scontra con una violenza inimmaginabile. È una guerra che è stata dirottata e manipolata da interessi globali, sì, ma nel suo cuore rimane una lotta di liberazione del popolo. Il problema di definirla solo una “guerra per procura” è che priva i siriani della loro capacità di agire, trasformandoli in pedine di un gioco geopolitico. I siriani non sono solo vittime di interferenze esterne; sono vittime della tirannia di Assad e di un ordine mondiale che privilegia il potere sulle vite umane. È più di una cosa: è una tragedia dalle mille sfaccettature, guidata dalla brutalità di un dittatore e sostenuta dalla complicità globale.
Il Medio Oriente è in fiamme. Gaza, Libano. E la gente continua a morire anche in Siria. La pace è un’illusione?
La pace rimarrà un’illusione finché l’Occidente continuerà a sfruttare il Medio Oriente come terreno di gioco per le sue ambizioni coloniali, a usare dittatori e criminali di guerra per controllare le nostre stesse vite ed esistenze e finché le voci degli oppressi saranno messe a tacere in favore della “stabilità”. Gaza, Libano e Siria non dovevano essere divisi. L’Accordo Sykes-Picot ha spartito la regione per interessi coloniali, gettando i semi per i conflitti di oggi. Queste guerre sono l’eredità dell’imperialismo occidentale, che continua a destabilizzare e sfruttare il Medio Oriente. L’Europa e gli Stati Uniti sostengono i regimi, alimentano le guerre e vendono armi predicando la pace. Siamo chiari: l’Occidente non vuole la pace, vuole il controllo. La pace richiede liberazione e giustizia, e queste richiedono lo smantellamento delle strutture di potere che tengono oppresse le persone, dal colonialismo dei coloni israeliani alla dittatura di Assad. L’Occidente è complice della violenza, finanziando regimi che massacrano le persone e mantenendo il proprio dominio economico e militare. Finché le potenze coloniali continueranno a intromettersi, la pace rimarrà fuori portata.
Cosa chiederebbe oggi all’Europa? E all’Italia?
L’Italia e l’UE devono smettere di legittimare il brutale regime di Assad. Ristabilire i legami diplomatici con un dittatore responsabile di torture di massa, uccisioni e dello sfollamento di milioni di persone è un tradimento della lotta della Siria per la libertà. La decisione dell’Italia di inviare un ambasciatore in Siria non è solo politica, ma è la continuazione della mentalità coloniale dell’Europa, che privilegia gli interessi geopolitici rispetto alle vite umane. Si preoccupano di più di proteggere i propri confini piuttosto che salvare vite umane, di proteggere le proprie ricchezze piuttosto che difendere la giustizia. Invece di favorire la riabilitazione di Assad, l’Italia e l’UE dovrebbero concentrarsi sulla protezione dei rifugiati siriani e sulla responsabilità del regime per i suoi crimini di guerra. L’Europa deve smantellare il suo retaggio coloniale, che ancora plasma la sua politica estera, e stare dalla parte del popolo siriano, non degli oppressori.