L'audizione in Antimafia
Scandalo dossier, Giovanni Russo: “Se un servitore è infedele non c’è difesa”
La tanto attesa audizione di Russo, ex numero due della Dna ed ora capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap), davanti alla Commissione parlamentare antimafia si è conclusa con un sostanziale nulla di fatto.
Giustizia - di Paolo Comi
Chi sperava di capire dopo l’audizione del magistrato Giovanni Russo come avesse fatto il tenente della guardia di finanza Pasquale Striano ad “esfiltare”, in maniera illegale secondo il procuratore di Perugia Raffaele Cantone che ne aveva anche chiesto l’arresto, circa 200mila atti dalle banche dati della Direzione nazionale antimafia, sarà rimasto sicuramente deluso.
La tanto attesa audizione di Russo, ex numero due della Dna ed ora capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap), davanti alla Commissione parlamentare antimafia si è conclusa ieri con un sostanziale nulla di fatto.
Al termine di un intervento durato oltre un’ora, senza peraltro alcuna interruzione, nessuno dei tanti interrogativi ha trovato infatti risposta. “Il sistema funziona, ha funzionato ed è stato violato nell’unico modo dal quale è più difficile difendersi”, ha esordito Russo, ricordando che il neo procuratore antimafia Giovanni Melillo “ha innovato gli aspetti di sicurezza, ha parlato dell’introduzione di nuovi sistemi di identificazione degli utenti per l’accesso alla banca dati”. “Quando a portare l’attacco è un insider – ha precisato Russo – anche se noi mettiamo il riconoscimento con la retina, se io ho diritto ad accedere e poi sono un servitore infedele e faccio uso degli atti o accessi in maniera infedele si è indifendibili”. “Di fronte a questo tipo di attacchi è difficile immaginare dei rimedi assoluti”, è stato quindi il laconico commento del capo del Dap. Un po’ poco come spiegazione.
La presidente dell’Antimafia Chiara Colosimo (Fd’i), va detto, era partita molto determinata: “Vogliamo capire perché all’epoca questa organizzazione non ha funzionato: come è possibile che i delegati non siano passati per il suo controllo o nessuno mai ha denunciato questa modalità?”. Per Russo avrebbe influito la posizione “bivalente” di Striano. Il finanziere, verosimilmente con l’avallo dei suoi superiori, lavorava in due posti diversi contemporaneamente: alla Dna ed al Valutario della gdf. In tal modo, le segnalazioni di operazioni finanziarie sospette (Sos) per fatti che non c’entravano con la criminalità organizzata e il terrorismo, quindi ad esempio quelle nei confronti del ministro della Difesa Guido Crosetto, venivano acquisite dalla banca dati della guardia di finanza.
“Teoricamente chiunque dei soggetti abilitati all’accesso a queste banche dati avrebbe potuto esfiltrarli: in quegli altri casi c’era evidentemente un controllo interno autogeno, in questo caso Striano, godendo di questo doppio cappello, può aver avuto facilità di accesso ad acquisizioni senza che nessuno potesse immaginare che non erano autorizzate”, sono state le parole di Russo.
In altri termini, quando Striano si collegava alle banche dati, i sistemi e i controlli della guardia di finanza legittimamente ritenevano che stessa lavorando per la Dna. Una affermazione che non può non sollevare forti perplessità sulla modalità di lavoro della Procura nazionale antimafia: da reparto di eccellenza nel contrasto alle mafie a bancomat delle informazioni riservare, dove qualsiasi ufficiale di pg può di fatto fare interrogazioni alle banche dati senza che nessuno gli chieda il motivo.